sabato 11 febbraio 2012

IL PAPA DEL CONCILIO

 “IL PAPA DEL CONCILIO”

di don Francesco Ricossa
 Anno X - Semestre I n. 2 Aprile - Maggio 1994

La scorsa puntata ha messo sotto gli occhi
dei lettori la preparazione ufficiale ed
istituzionale del Concilio ecumenico; diretta
dal cardinale segretario di stato Domenico
Tardini, la commissione antepreparatoria si
occupava del futuro Concilio col rigore, la
serietà e la correttezza della curia romana.
Ma, da lungo tempo, in tutt’altro clima, si
preparava un altro Concilio, quello che divenne
poi effettivamente il Vaticano II, che
come un intruso sfratterà quello preparato
da Roma e ne prenderà il posto. Questa
puntata racconta come fu preparata questa
abile e tragica sostituzione.
Il Concilio di Monsignor Igino Cardinale...
Di Mons. Cardinale, nipote di don Giuseppe
De Luca, intimo questi di Giovanni
XXIII, abbiamo già parlato (1). Capo del
protocollo, egli apparteneva alla “famiglia
pontificia” piuttosto che alla curia romana.
È un uomo di Giovanni XXIII. Ed ecco che
il 18 febbraio 1959 egli “ha un lungo colloquio
con Sir John Lawrence, anglicano, direttore
di Frontier”. Il nobile eretico anglosassone
ha lasciato un diario inedito (Journal
romain) di quelle giornate del febbraio e
del marzo 1959; diario che Hebblethwaite ha
letto e dal quale ha tratto il racconto dell’incontro
Lawrence-Cardinale. Di cosa parlerà
il prossimo Concilio? «Cardinale (...) si azzarda
a fornire tre esempi di soggetti possibili:
1. Il celibato ecclesiastico. Il legame tra
sacerdozio e celibato potrebbe non essere
imposto in tutte le situazioni. L’esempio delle
Chiese unite in comunione con Roma mostra
che il celibato non è assolutamente necessario
al sacerdozio. Potrebbe però essere
difficile farlo capire nei paesi latini. 2. La
riforma liturgica. Pio XII aveva già introdotto
dei cambiamenti nella liturgia della Settimana
Santa, aveva permesso le messe vespertine,
ridotto il digiuno eucaristico. È necessario
andare molto più avanti in questa
direzione. Sarà bene arrivare all’utilizzazione
della lingua di ogni Paese e assegnare il
suo vero ruolo alla Bibbia nel culto. 3. L’impegno
ecumenico. “Il Santo Padre s’interessa
vivamente all’unione e considera che certe
divisioni in seno alla cristianità si sono create
per motivi futili che hanno assunto così
grande importanza solo per motivi storici. In
questi casi il buonsenso potrebbe fare molto”
(Lawrence, pagg. 5-7). Nel febbraio 1959
queste erano le idee e i commenti che si raccoglievano
nella “famiglia” del papa. I pronostici
di monsignor Cardinale si riveleranno
esatti per due questioni su tre» (2).
...e quello di Hans Küng
Se Cardinale ne azzecca due su tre, il tristemente
celebre Hans Küng fa sette centri su
sette! Naturalmente, rispose con «esultanza
all’annuncio del concilio. L’edizione tedesca
di Konzil und Wiedervereinigung. Erneuerung
als Ruf in die Einheit esce nel 1960
(Hans Küng, Riforma della Chiesa e unità dei
cristiani, Borla 1965). Nello stesso anno Küng
viene nominato professore di teologia a Tubinga,
alla giovanissima età di trentadue anni.
(...) Küng ha il coraggio di presentare un ordine
del giorno per il concilio. Potremmo fare a
meno di dirlo, tanto è ovvio; non è proprio il
programma che ha in mente la Curia romana.
Come è precisato sopra, il suo libro in Italia
arriverà solo nel 1965. Per Hans Küng il primo
obiettivo del concilio è la riforma della
Chiesa. Se questa riforma andasse in porto,
essa porterebbe all’unione, a parità di condizioni,
con i fratelli separati. Küng elenca le
tappe da superare per rispondere alle richieste
legittime della Riforma protestante: il riconoscimento
della Riforma come avvenimento
religioso (irriducibile a fatti politici o psicologici
come la libido di Martin Lutero); una
maggior considerazione e valorizzazione della
Bibbia nella teologia e nel culto; l’elaborazione
di una liturgia del popolo, ovviamente nella
lingua del Paese; un’autentica comprensione
del sacerdozio universale di tutti i fedeli; il
dialogo tra la Chiesa e le altre culture; il distacco
del papato da qualsiasi intreccio politico;
la riforma della Curia romana e l’abolizione
dell’indice dei libri proibiti. Küng si rivela
un profeta chiaroveggente: queste sue sette
richieste si ritrovano tutte, sia pur in altra forma,
nei documenti definitivi del Concilio.
Inoltre, il teologo di Tubinga si richiama astutamente
a papa Giovanni (...). Küng contrappone
il papa sveglio e vivace alla cristianità
addormentata: “(...) Riusciranno le parole e
gli atti del papa a risvegliare questi dormienti?”
(Riforma della Chiesa e unità dei cristiani
cit., pagg. 55-56). (...) Giovanni non farà mai
4
alcuna osservazione pubblica su Hans Küng.
(...) Il cardinal Franz König, arcivescovo di
Vienna, (...) scrive la prefazione all’edizione
tedesca del libro e ne parla come di un “felice
presagio”. Nella sua introduzione all’edizione
francese il cardinale Achille Liénart, di Lilla,
ne sottolinea l’importanza ecumenica (...). Si
poteva concluderne in modo ragionevole che,
qualsiasi cosa facesse la Commissione preparatoria,
Küng aveva già stabilito la vera scaletta
dei punti all’ordine del giorno da presentare
al Concilio e redatto il piano di battaglia
per la sua prima sessione» (3).
Paderborn
Sempre in Germania (benché svizzero,
Hans Küng era professore a Tubinga) si preparava
un altro piano per indirizzare il futuro
concilio verso le chimere del movimento
ecumenico.
Paderborn: “città della RFT (Repubblica
Federale Tedesca), Renania Settentrionale-Vestfalia,
69.000 abitanti” secondo la Nuova Enciclopedia
Universale Garzanti del 1985. Per la
Chiesa Cattolica, Arcidiocesi dal 1930; nel
1961 in tutto il territorio diocesano si contavano
9.007.173 abitanti, dei quali solo 2.155.066
cattolici (cf. Annuario Pontificio). Tutti gli altri
sono protestanti; un fattore che influirà notevolmente
nella nostra storia. Oggi, Paderborn
è conosciuta come la diocesi del “teologo” psicanalista
Drewermann, che riduce il cristianesimo
ad un mito. Ma già nel 1580, il vescovo di
Paderborn, Enrico di Lauenburg, aderì alla
“Confessione di Augusta”, il credo dei luterani
(4). Nel 1834, l’arcivescovo di Colonia ed i suoi
suffraganei di Münster, Treviri e Paderborn,
sottoscrissero una convenzione segreta col governo
protestante prussiano a proposito dei
matrimoni misti tra cattolici e protestanti, contraria
al Breve che papa Pio VIII aveva promulgato
sulla questione nel 1830 (5). Una sensibilità
al movimento liturgico è forse attestata
dal fatto che in tutto il mondo, la diocesi di Paderborn
era la sola ad ammettere l’uso di distribuire
la comunione il venerdì santo (6). Nel
1941, Lorenz Jaeger viene eletto arcivescovo di
Paderborn. Chi avrebbe detto, alla vigilia del
concilio Vaticano II, che non a Roma ma a Paderborn,
non dalla Curia ma da un vescovo tedesco,
sarebbe stato fatto il concilio? Eppure,
sarà così...
Basta leggere, per convincersene, la “Storia
della Chiesa” diretta dallo Jedin: “per iniziativa
dell’arcivescovo di Paderborn Lorenz
Jaeger (1892-1975) e del vescovo luterano di
Oldenburg, Wilhelm Stählin (1883-1975), dal
1946 in Germania si incontrarono ogni anno
teologi delle due confessioni, per dibattere
le dottrine di fede comuni ad entrambe o
che sono elemento di divisione. Con la partecipazione
determinante del professore
olandese di teologia Jan Willebrands (nato
nel 1909) si formò nel 1952 la Conferenza internazionale
per i problemi ecumenici, il cui
lavoro sfociò nel Segretariato per la promozione
dell’unità cristiana, istituito nel 1960 da
Papa Giovanni XXIII e diretto dal cardinale
Agostino Bea (1881-1968). Esso ricevette
nel 1962 lo status ufficiale di commissione
conciliare e in tale veste ebbe parte determinante
nella preparazione del Decreto
sull’Ecumenismo del Concilio Vaticano Secondo”(
7). Da Paderborn al Concilio, via
Bea e Giovanni XXIII, la strada è
diretta...Cerchiamo di seguirne meglio le
tracce...
Pio XI condanna, Giovanni XXIII approva
Non è qui la sede per far la storia del moderno
movimento ecumenico, storia che ci
allontanerebbe troppo dal soggetto e che,
d'altronde, abbiamo già rapidamente esposto
in una precedente puntata (8). Ci basti ricordare
che il movimento ecumenico nacque,
sulla fine del secolo scorso, nell’ambito delle
sétte protestanti, preoccupate per le divisioni
congenite del loro mondo religioso, e sfociò,
con l’adesione degli “Ortodossi”, nel famigerato
Consiglio Ecumenico delle Chiese
(CEC), fondato ad Amsterdam nel 1948 da
ben 147 “chiese” cristiane. Tuttavia, la Chie-
5
Il card. Agostino Bea
sa Cattolica rifiutò sempre gli inviti degli
ecumenisti a partecipare ai loro periodici
congressi o a aderire al CEC; anzi, tre decreti
del Santo Uffizio (del 4 luglio 1919, del 5
giugno 1948 e del 20 dicembre 1949) vietarono
anche ai singoli cattolici di partecipare a
detti convegni senza preliminare autorizzazione
della Santa Sede. Di più: la storica enciclica
“Mortalium animos” di Pio XI (6 gennaio
1928) condannò severamente il movimento
ecumenico detto allora “pancristiano”
(9). Com’è possibile, allora, che nel 1960
Giovanni XXIII approvi, con l’istituzione
del Segretariato, quel movimento ecumenico
che il suo predecessore aveva condannato?
Mons. Arrighi, “professore” di protestantesimo
L’enciclica di Papa Pio XI piegò ma non
spezzò quei cattolici ecumenisti che, come
Dom Beauduin, amico personale di Roncalli,
erano coinvolti nel movimento. Aiutati dalla
confusione creata dalla II guerra mondiale,
rialzarono la testa nel primo dopoguerra, specialmente
in Francia ed in Germania. “Dopo
la seconda guerra mondiale sorsero in molti
luoghi dei gruppi Una Sancta, composta di
laici e di teologi, come centri per un fecondo
incontro di cattolici e protestanti nella preghiera
e nel dialogo” (10). In Francia, si distinguono
Paul Couturier (1881-1953) e Padre
M.Yves Congar OP (classe 1904), colpito
però dalle sanzioni vaticane dopo l’Enciclica
Humani Generis di Pio XII (1954). Ma Padre
Congar ha chi lo aiuta...; tra gli altri Mons.
Jean-François Arrighi (un còrso), segretario
del Cardinale Tisserant. «Papa Giovanni -
scrive Hebblethwaite - ha conosciuto Arrighi
a Parigi e lo stima molto. La leggenda vorrebbe
che Arrighi avesse dato lezioni di teologia
protestante a papa Giovanni. Ciò che è vero,
è che i due hanno avuto numerosi colloqui su
questioni ecumeniche nel periodo di preparazione
al Concilio. Arrighi faceva da tramite
con teologi francesi come Yves-Marie Congar,
ancora in disgrazia. Congar pensava che
la Chiesa cattolica dovesse avere la decenza
di riconoscere che anche gli altri dissodavano
il campo ecumenico da un po’ di anni. Scrive:
“Nel momento in cui uscì dal suo semi-assenteismo
in materia di ecumenismo, la Santa
Sede trovava il campo lavorato e seminato,
coperto di fitte spighe già grandi...” (Congar,
Chrétiens en dialogue, p. LIII)» (11). Giovanni
XXIII non fece in tempo ad annunciare che
avrebbe convocato un Concilio, che Arrighi,
forte della sua amicizia con papa Roncalli, fin
dal febbraio 1959, chiese la costituzione a Roma
di un “piccolo gruppo dagli ampi poteri
per occuparsi di questioni ecumeniche” (12)
per non perdere l’occasione offerta dal Concilio.
Arrighi ha buone speranze di riuscire
nel suo intento: “una parola-chiave di tutti
questi ecumenisti cattolici è collegialità” e
«che papa Giovanni fosse fautore della collegialità
era risaputo (...). L’atto di convocazione
di un Concilio è un’estensione di questo
stesso principio (...). Il 23 febbraio 1959 Arrighi
spiega: “Giovanni XXIII applica realmente
il sistema di governo collegiale e lavora con
i suoi fratelli nell’episcopato. Contrariamente
a Pio XII (...)». Fautore della collegialità e
dell’ecumenismo: «È veramente preoccupato
per le sorti dell’unità - disse Arrighi al protestante
Lawrence nello stesso febbraio del
1959. - Il suo punto di partenza è la Chiesa ortodossa
ma “quando uno diventa ecumenico
bisogna inglobarvi tutti”. Ha avuto qualche
esperienza del protestantesimo in Francia. Il
papa ha utilizzato l’espressione la ricerca
dell’unità in un incontro privato. Questa
espressione è significativa ed egli sembra aver
voluto applicarla egualmente alla Chiesa cattolica
romana (come se non avesse ancora
quell’unità che è una delle note della vera
Chiesa di Cristo! n.d.a.). Recentemente ha
convocato la Congregazione per le Chiese
orientali e ha detto: “So che umanamente
parlando il mio piano è impossibile, ma Dio
chiede l’unità e noi dobbiamo fare qualcosa
in questa direzione”» (13). Arrighi aveva dunque
già l’idea di qualche cosa di simile al futuro
“Segretariato per l’unità dei cristiani” (del
quale diventerà subito membro) nel febbraio
del 1959, e Giovanni XXIII sembrava ben disposto
verso la causa ecumenica. Ma non sarà
Arrighi, bensì il cardinal Bea, il confessore di
Pio XII (!), a riuscire nell’intento.
Il cripto-ecumenismo del confessore di Pio XII
Riedböhringen (Germania), 28 maggio
1881: nasce, da una famiglia cattolica, Agostino
Bea: coetaneo, pertanto, del futuro
Giovanni XXIII (14). In breve, il suo curriculum
vitæ: novizio gesuita nel 1902, sacerdote
nel 1912, professore di Sacra Scrittura in
Olanda dal 1917 al 1921 ed a Roma dal 1924
al 1959, prima alla Gregoriana e poi al Pontificio
Istituto Biblico, di cui fu Rettore dal
1930 al 1949. Soprattutto, Padre Bea era conosciuto
come confessore di Pio XII, carica
6
che ricevette nel 1945 e che tenne fino alla
morte del Papa, nel 1958 (15). Evidentemente,
questo delicato incarico gli permetteva di
esercitare una certa influenza sulla coscienza
assai delicata del Papa e, pertanto, sulle sue
decisioni. La fiducia che gli accordava Pio
XII, poi, rassicurava, se ce ne fosse stato bisogno,
sulle convinzioni di padre Bea e sulla
sua fedeltà alla Chiesa. Eppure...
Eppure, già prima del pontificato giovannèo,
un attento osservatore avrebbe potuto
rilevare il prudente ma deciso appoggio
che Bea dava sia al “movimento liturgico”
(ne riparleremo), che a quello “ecumenico”
(16). Una prima, ed ancora vaga, iniziazione
“ecumenica”, il card. Bea l’ebbe dal luogo di
nascita e dei suoi primi studi. Egli stesso riconosceva
come la sua diocesi di origine, che
anticamente era quella di Costanza, fosse
ancora segnata dallo spirito liberale di J.H.
Wessenberg, per lungo tempo vicario generale
della diocesi, al quale però Roma rifiutò
sempre la nomina vescovile (17). Lasciato il
paese natìo, interamente cattolico, Bea svolse
i suoi studi superiori a Costanza, “in ambiente
ecumenico”, come diceva, perchè
confessionalmente misto (18). Ma fu molto
più tardi, quando, paradossalmente, fu chiamato
al Sant’Offizio come consultore, nel
marzo del 1949, che padre Bea si occupò direttamente
dei movimenti ecumenici. In seno
a quel Sant’Offizio che più tardi egli contribuì
efficacemente a distruggere, il nostro
poteva essere consultato su questioni esegetiche,
o su quanto aveva attinenza ai paesi di
lingua tedesca. Alcuni attribuiscono alla sua
influenza il fatto che l’istruzione del
Sant’Offizio sull’ecumenismo del dicembre
1949, risulti inspiegabilmente più possibilista
di quella, appena precedente, del 1948, della
quale avrebbe dovuto essere solo una applicazione
pratica (19). Checché ne sia, Bea divenne
immediatamente il discreto ma efficace
punto di riferimento romano degli ecumenisti
tedeschi. Nei primi tempi, esisteva solo
il succitato “Circolo Jaeger-Staehlin”, dal
nome dell’arcivescovo di Paderborn, responsabile
del movimento ecumenico della Conferenza
episcopale della Germania Federale,
e del “vescovo” luterano di Oldenburg.
All’inizio, mediatore tra Jaeger e Bea fu
Mons. Josef Höfer, membro anch’egli del Circolo,
“sacerdote dell’arcidiocesi di Paderborn,
professore di teologia pastorale e poi, per 14
anni (dal 1954 al 1968), consigliere ecclesiastico
all’ambasciata della Repubblica Federale
di Germania presso la Santa Sede. Da una
parte costui cercava suggerimenti e sostegno
presso Bea; dall’altra, fu lui stesso per Bea -
come per tanti altri degli ambienti ecclesiastici
di Roma - di prezioso aiuto nel tessere contatti
con il mondo non cattolico” (20). Più tardi
Höfner conoscerà e - fa capire Hebblethwaite
- apprezzerà “i lavori del teologo svizzero
Hans Küng” secondo il quale la dottrina di
Lutero e quella del Concilio di Trento non sarebbero
incompatibili (21)! Tramite questo estimatore
di Küng, Bea seguì “con grande interesse
e speranza” i lavori del “circolo Jaeger-
Staehlin” fintantoché non entrò in relazione
diretta collo stesso arcivescovo di Paderborn,
col quale ebbe “lunghe conversazioni” durante
le visite dello Jaeger a Roma. “Bea si interessava
in modo particolare al piano dell’arcivescovo
di fondare nella sede dell’arcidiocesi
un Istituto ecumenico, e lo incoraggiava a farlo”
(22). Dal tandem Jaeger-Bea nacque così,
nel 1952, l’Istituto ecumenico J. Adam Möhler
(23). «In seguito si svilupparono frequenti e fecondi
contatti tra Bea ed i dirigenti di tale Istituto
(...). Nel 1957, Bea scriveva al direttore
dell’Istituto, dr. Eduard Stakemeier: “Sembra
che (con l’Istituto) lo Spirito Santo voglia preparare
qualcosa che ancora pochi decenni fa
nessuno avrebbe ritenuto possibile” (23). Alla
vigilia del pontificato di Giovanni XXIII tutto
era pronto, quindi, per il colpo di mano ecumenista.
Mancava solo... Giovanni XXIII. Per
il momento, bisognava fare i conti con Pio
XII, il quale, benchè malato e mal influenzato
dal confessore (lo stesso Bea), non avrebbe
certo gradito una presentazione troppo esplicita
dell’ecumenismo. Bea lo sapeva, e per
questo parlo di un suo criptoecumenismo, ancora
sufficientemente nascosto e discreto da
non impensierire nessuno. Era, per esempio,
in amichevole contatto con un movimento
ecumenista protestante, detto Sammlung. Tuttavia,
sapeva che il suo gioco non doveva essere
troppo scoperto. Infatti, “gli arrivarono anche
suggerimenti o addirittura richieste di far
ricevere in udienza privata dal Papa (Pio XII)
questo o quel rappresentante del movimento;
ma egli rispondeva che era più prudente accontentarsi
della participazione a un’udienza
generale, in un posto di riguardo, e in tal senso,
difatti, si adoperò per alcuni. Quando Max
Lackmann (uno del movimento, n.d.a.) pubblicò
il suo studio La riforma cattolica, Bea
non credette opportuno presentare il volume
a Pio XII” (23), ben sapendo che il Pontefice
avrebbe “mangiato la foglia”.
7
Ancora più importanti i contatti di Bea
con la Conferenza cattolica per le questioni
ecumeniche, fondata a Warmond (diocesi di
Haarlem, in Olanda), dall’allora professore
di filosofia Johannes G.M. Willebrands, che
fungeva anche da segretario. Willebrands
farà carriera (cardinale!) ed avrà “l’onore”
di definire Lutero “dottore comune della
Chiesa”! Quanto alla povera ed un tempo
gloriosa Chiesa olandese, il post-concilio ne
dimostrerà ad abundantiam la deriva scismatica...
Ma questo è il futuro radioso per il
quale lavoravano i nostri eroi. Nel frattempo,
la Conferenza era il punto di incontro
con “un buon numero di ecumenisti di varie
nazionalità”, i francesi in particolare. Ci ritroviamo
Mons. Arrighi, ed il Mons. Höfer
di Paderborn, il domenicano francese Christophe
Dumont ed il monaco di Chevetogne
(il monastero di Dom Beauduin) Pierre Dumont...
Lo scopo della Conferenza è quello
di seguire “il lavoro del Consiglio Ecumenico
delle Chiese a Ginevra” (24) il cui segretario
generale, W.A. Visser’t Hooft era connazionale
di Willebrands. Willebrands faceva la
spola tra il Consiglio Ecumenico delle Chiese
ed il padre Bea, che aveva conosciuto fin
dal 1951, un anno prima di fondare la propria
associazione ecumenica. Anzi, l’incontro,
che ebbe luogo al Pontificio Istituto Biblico
di Roma, aveva proprio come scopo
quello di sondare Bea sulla progettata creazione
della Conferenza. Come per l’Istituto
Möhler, così per la Conferenza, Bea dette il
suo incoraggiamento. Dal 1952 al 1960, la
Conferenza tenne dieci incontri “durante i
quali furono studiati i grandi temi dell’attualità
ecumenica” (25). Bea riceveva continuamente
Willebrands e preparava il terreno
per le venute a Roma dei membri protestanti
del Consiglio Ecumenico delle Chiese, come
quella del futuro “vescovo” luterano di
Oldenburg H. H. Harms al Pontificio Istituto
Biblico e di Hans Ruedi Weber al congresso
Internazionale per l’Apostolato dei Laici,
nel 1957 (26). Ma, ancora una volta, il prudentissimo
Bea non ritenne opportuno chiedere
per Harms un’udienza privata al papa
Pio XII; meglio inviarlo dal suo ex-allievo
arcivescovo di Utrecht, il famigerato Bernard
Alfrink (26).
Per concludere: il lavoro svolto in un decennio
(1949-1959) dai movimenti ecumenici appoggiati
da Bea confluì senza dubbio nel Vaticano
II. Non per nulla la Conferenza di Mons.
Willebrands “operò - come lui stesso scrive - fino
alle soglie del Concilio” per poi sciogliersi.
“Fu infatti, come tutti sanno, nel 1960 che papa
Giovanni XXIII convocò un Concilio ecumenico
della Chiesa e istituì quel Secretariatus ad
christianorum unitatem fovendam, alla cui guida
egli volle porre il cardinale Agostino Bea, e
che aveva come scopo di introdurre nella preparazione
del Concilio l’intuizione ecumenica
scaturita dal pensiero di questo grande Papa”
(25). La Conferenza di Willebrands confluì, così,
nel Segretariato voluto da Giovanni XXIII, ed
“i solidi studi sui più importanti problemi
ecumenici elaborati dalla Conferenza a partire
dal 1952 nei suoi convegni più o meno annuali
confluirono poi nei lavori preparatori del Segretariato
in vista del Concilio” (25). E nel Segretariato
confluì non solo il movimento “cattolico”
di Willebrands, ma anche il movimento
ecumenico protestante Sammlung del “prevosto”
Hans Christian Asmussen (1898-1968), il
quale dichiarò a Bea nel 1962: “Ora che il vostro
Segretariato ha intrapreso quello cui io miravo,
posso ritirarmi” (27).
Il vecchietto ed il rudere
Però... “si tratta solo di una preparazione,
cui mancava il soffio dello Spirito Santo
alitante sul pontificato di papa Giovanni
XXIII” (Schmidt) (28). Per il momento, invece,
lo Spirito Santo, quello vero, alitava ancora,
sotto Pio XII, in senso contrario (29).
Ma Papa Pacelli era agli ultimi. Ripresosi
dalla grave crisi che nel 1954 l’aveva condotto
all’orlo del sepolcro, soccombette improv-
8
Un monaco dell'abbazia di Chevetogne in Belgio
visamente il 9 ottobre, dopo soli tre giorni di
malattia. Il suo vecchio confessore (aveva 79
anni), Padre Bea, era a sua volta seriamente
ammalato e non potè assistere Pio XII, sostituito
in ciò da padre Leiber s.j.; il Papa ed il
suo confessore non si vedranno più (30). Bea
sembrava un uomo finito: quando, inaspettatamente,
venne creato cardinale da Giovanni
XXIII, verrà definito “un vecchietto che
ormai non rappresenta più niente tra i gesuiti”
(31). Ricorda il lettore che Mons. Roncalli,
appena nominato Nunzio a Parigi nel dicembre
del 1944, fu definito a sua volta “un vecchio
rudere”? (32). Questi due vecchietti quasi
ottantenni si incontreranno però, e dal loro
incontro derivarono conseguenze di incalcolabile
gravità per la Chiesa. Alle loro relazioni,
fino al 5 maggio 1960 (data della creazione
del Segretariato per l’unità dei cristiani)
dedicherò la prossima puntata.
Note
1) Cf. Sodalitium, n. 33 pagg. 23 e 26.
2) PETER HEBBLETHWAITE. Giovanni XXIII. Il papa
del Concilio. Edizione italiana a cura di Marco Roncalli.
Rusconi. Milano. 1989. pagg. 459-460.
3) HEBBLETHWAITE, op. cit., pagg. 526-528.
4) Enciclopedia Cattolica. Città del Vaticano 1952.
vol. IX, col. 515; voce Paderborn.
5) JOSEPH LORTZ. Storia della Chiesa. Paoline, Roma,
1982, vol. II, par. 115.4, pagg.440-441.
6) DOMINICUS M. PRÜMMER O.P., Manuale Theologiae
Moralis, Herder, Friburgi Brisgoviae, vol. III, n. 221.
7) ERWIN ISERLOH, La storia del movimento ecumenico,
in: AA.VV., Storia della Chiesa, diretta da Hubert Jedin, edizione
italiana del 1980, Jaca Book, Milano, vol.X/1, pag.411.
8) Sodalitium, n. 25, pagg. 26-27.
9) Il termine “pancristiano” sembra doversi
attribuire al pastore valdese Ugo Janni, direttore della rivista
ecumenista “Fede e vita”. La sua è una figura che
meriterebbe di essere più attentamente studiata (cf. CESARE
MILANESCHI. UGO IANNI, Pioniere dell'ecumenismo,
Claudiana Torino), come quella di un suo collaboratore
cattolico, Alessandro Favero (1890-1934). “Suoi
grandi ideali furono il pacifismo e la riunione delle chiese
cristiane”, per cui il Favero fondò nel 1913 (in piena bufera
modernista) la “Lega di preghiera per l’unione delle
Chiese Cristiane”. Purtroppo per lui, nello stesso anno,
finì all’Indice un suo libro su Mons. Luigi Puecher Passavanti,
arcivescovo anti-infallibilista. Strana figura, questo
Favero: amico dei Rosminiani e di don Coiazzi, agiografo
di Pier Giorgio Frassati, che definirà Favero “il dottissimo
e santo che viveva nel mondo con il voto di castità”.
Ma nello stesso tempo modernista alla Fogazzaro e discepolo
del falso mistico polacco Towianski (1799-1878), fervente
“cattolico”, ma negatore dell’eternità dell’inferno,
assertore della trasmigrazione delle anime e della relatività
di tutti i dogmi. E poichè si parla di Polonia, sarebbe
interessante approfondire l’influenza del pensiero di
Towianski e di altri “mistici” polacchi come Mickiewicz
(1798-1855) e la teosofa Blatvatsky sul giovane Karol
Wojtyla (cf. ROCCO BUTTIGLIONE, La pensée de Karol
Wojtyla, Fayard, 1984, pagg. 36, 40 e 45; ed. italiana: Il
pensiero di Karol Wojtyla, Jaka Book, Milano, 1982)
nonchè quella del “misticismo” giudaico sugli stessi (cf.
Buttiglione, pagg. 40 e 45). Su Favero, si legga il contributo
di Annamaria Sani, Tra modernismo e pacifismo- Il
carteggio Favero-Colombo, in Contributi e documenti di
storia religiosa, Quaderni del Centro Studi C. Trabucco,
Torino, 1993, n. 19, pagg. 39-69.
10) E. ISERLOH, Il movimento ecumenico, op. cit.,
pag. 410.
11) HEBBLETHWAITE, op. cit., pagg. 461-462.
12) LAWRENCE, Journal Romain, pag. 20, citato in
Hebblethwaite, pag. 462.
13) LAWRENCE, pag. 19; Hebblethwaite, pagg. 462-463.
14) Alcuni hanno avanzato l’ipotesi che Bea fosse
di origine ebraica (il cognome originario sarebbe stato
Beha o Behar), ma senza prove documentarie. La biografia
più completa è quella del suo segretario, padre
STJEPAN SCHMIDT S.J., Agostino Bea, il cardinale
dell’unità. Città Nuova, Roma, 1987. Interessante anche
la commemorazione in occasione della sua morte dedicatagli
dalla rivista del SIDIC (service international de
documentation judéo-chrétienne), via Garibaldi 28,
00153 Roma, numero speciale del 1969.
15) Sulle circostanze ed i motivi della scelta di Bea
come confessore del Papa, cf. Schmidt, op. cit., pagg.
166-167. Bea successe a due altri gesuiti di lingua tedesca,
padre van Laak (†1941) e padre Merk (†1945).
16) Per il suo ruolo, assolutamente deleterio, in
campo liturgico, sotto il pontificato di Pio XII, cf. Schmidt,
op. cit., pagg. 224-249; sull’ecumenismo di Bea
nello stesso periodo, cf. Schmidt, op. cit., pagg. 250-270.
17) Cf. SCHMIDT, op. cit., pag. 26. Ignaz Heinrich von
Wessenberg (1774-1860), illuminista e febroniano, combattè
le devozioni private, riformò la liturgia introducendo,
tra l’altro, la lingua volgare, e rivendicò una larga autonomia
dei vescovi da Roma. Non vi ricorda qualcosa?
18) Cf. SCHMIDT, op. cit., pagg. 33-36.
19) Cf. SCHMIDT, op. cit., pag. 252.
20) SCHMIDT, op. cit., pag. 253.
21) HEBBLETHWAITE, op. cit., pag. 462
22) Per tutte queste citazioni, cf. SCHMIDT, op. cit.,
pagg. 253-254.
23) Johann Adam Möhler (1796-1838), sacerdote, libero
docente di storia ecclesiastica nella Facoltà di Teologia
cattolica di Tubinga (1826-1835) e poi docente di esegesi
del Nuovo Testamento all’Università di Monaco, per
un solo anno. Rappresentante della “scuola di Tubinga”
fondata dal Sailer. Mons. Piolanti, nell’Enciclopedia cattolica,
ne fa la difesa d’ufficio (vol.VIII, col.1208-1211),
ma deve ammettere che “alcuni (Vermeil, Fonk) hanno
voluto scoprire l’origine (nell’opera di Möhler) di
quell’immanentismo, che doveva in seguito fecondare le
tendenze religiose, dal b. Pio X condannate nel modernismo”.
Abbandonò la scolastica per privilegiare lo studio
positivo della Scrittura e dei Padri. Parlò di “sviluppo del
dogma”, fu influenzato da “una vecchia eredità antiromana”.
Lortz, più esplicitamente, fa del Möhler il sostenitore
di teorie episcopaliste, avverse al movimento infallibilista
rinnovato dal de Maistre nel Du Pape, ed aggiunge:
“la sua inflenza, che giunge fino a noi, è data dal fatto
che egli, anziché tenersi timidamente in disparte dalla
maggior corrente filosofica del secolo, l’hegelismo, seppe
venire con esso ad una dialettica vivificatrice (Eschweiler).
Il suo stile fece sì che la sua discussione col protestantesimo
fosse fecondamente superiore (sic) alla polemica
e all’apologetica dai corti orizzonti esistenti prima
di lui (e purtroppo anche dopo di lui) (ri-sic) Egli avverti-
9
va, in un certo senso, qualcosa dei profondi problemi per
i quali si era lottato nella Riforma” (!). (cf. Storia della
Chiesa, pagg. 405, 409, 411, 427, 438, 469). Naturalmente,
Möhler divenne il “patrono” degli ecumenisti, non solo
tedeschi; Padre Congar ne diffuse il verbo in numerose
pubblicazioni in francese.
24) HEBBLETHWAITE, op. cit., pag. 461.
25) cf. SCHMIDT, op. cit., pagg. 7 (presentazione al libro
scritta dallo stesso Willebrands) e 256.
26) cf. SCHMIDT, op. cit., pagg. 256-257. Mostrando
ad Harms la biblioteca, gli fece osservare che si trattava
di “una buona biblioteca protestante”. Per la visita di
Weber, dovette ottenere il permesso del Sant’Uffizio.
27) SCHMIDT, op. cit., pag. 255.
28) Op. cit., pag. 270.
29) Infatti, “Willebrands si trova a urtarsi con parecchie
incomprensioni e ostacoli. Dal punto di vista del
cattolicesimo tradizionale il Consiglio ecumenico non è
abbastanza teologico nella sua ricerca dell’unità. Si vieta
a Willebrands di assistere alla sua riunione a Evanston,
nel 1954, e quest’ultimo si vede redarguire dall’arcivescovo
Cyrille Cowderoy di Southwork, inglese”. Hebblethwaite,
op. cit., pag. 461.
30) Cf. SCHMIDT, op. cit., pagg. 3O9-311.
31) Lo disse un gesuita a Mons. L.F. Capovilla, segretario
di Giovanni XXIII. Cf. SCHMIDT, op. cit., pag.
336, nota 1.
32) Cf. “Sodalitium”, n. 27, pag. 18.