sabato 11 febbraio 2012

IL PAPA DEL CONCILIO

 “IL PAPA DEL CONCILIO”
di don Francesco Ricossa

Giugno-Luglio 1994


Pare che non si conoscessero. Al punto che,
a questo proposito, si racconta un aneddoto,
tipicamente roncalliano. Dopo la morte
di Pio XII, Padre Bea “viveva ancor più ritirato
di prima” (1). E scriveva: “Non conosco
il nuovo Papa da vicino e, naturalmente, non
cerco di avvicinarlo. Ho già abbastanza da fare”
(1). Tra questi impegni, proprio in quel
periodo del 1958, “la lotta (...) in favore
dell’uso della lingua volgare nella liturgia”
(2)... L’anno seguente, avvennero i due primi
incontri tra Padre Bea e Giovanni XXIII. «Il
primo avvenne nel marzo 1959, allorché il Papa
ricevette in udienza il personale, e quindi
anche i consultori del Sant’Uffizio. Quando
gli fu presentato Bea, il Papa, che evidentemente
non lo conosceva, si limitò ad osservare:
“Ho letto qualche sua pubblicazione.
Continui pure così”. Due mesi dopo, Bea fu
presentato di nuovo al Papa insieme con i
componenti della Pontificia Commissione Biblica.
Durante la presentazione, il Papa domandò:
“Ma ci sono due Padri Bea?”. Egli ricordava,
probabilmente, di averlo incontrato
nell’udienza al Sant’Uffizio. Nel frattempo,
inoltre, Bea gli aveva fatto pervenire un parere
sull’uso della traduzione piana del salterio
nella liturgia, sicché Giovanni XXIII fu sorpreso
di trovare il nome di lui in contesti tanto
diversi. Alla domanda del Papa, Bea rispose
prontamente: “No, Santo Padre, ce n’è solo
uno, e sono io”» (1). Sembra veramente un
po’ grossa che Giovanni XXIII non conoscesse,
almeno di fama, il rettore del Biblico, il
confessore di Pio XII, l’autore della traduzione
del Salterio, traduzione che al card. Roncalli
non piaceva affatto... (3) Eppure, pare
proprio che così fosse. Il fatto è che i due coetanei,
venivano da mondi diversi: italiano
l’uno, tedesco l’altro; diplomatico o Pastore il
Roncalli, che fu sempre tenuto lontano da
una Curia Romana che non amava e che non
lo amava, intellettuale invece il padre Bea,
che a Roma risiedeva ininterrottamente dal
1924, ed era addentro alle Congregazioni ed
agli stessi Palazzi Apostolici.
Non sembra poi che questi primi incontri
abbiano lasciato una grande traccia in Giovanni
XXIII. Aveva già nominato, il 15 dicembre
1958, i nuovi cardinali (tra i quali
Montini) e, soprattutto, annunciato, il 25 gennaio
1959, la convocazione di un Concilio
Ecumenico; tutto ciò, pare, senza la minima
influenza di Bea, che si limita ad inviare agli
“amici” delle sue “riflessioni” sul Concilio
“ed i suoi scopi ecumenici” da divulgare
“senza però menzionare l’autore”! (4) E nei
sei mesi che passano da maggio (data del secondo
incontro tra Bea e Giovanni XXIII) a
novembre, non si ha notizia di altre relazioni
tra i due. Eppure, come abbiamo visto (n. 36,
XIV puntata), erano già state scritte tre encicliche
e, proprio in quei sei mesi, la Commissione
antipreparatoria al Concilio, diretta dal
cardinal Tardini, aveva iniziato e ben avviato
i propri lavori. E non c’è traccia del contributo
di Bea, ben diversamente dai tempi di Papa
Pacelli, il quale gli affidò, ad esempio, un
ruolo importante nella sua enciclica sugli studi
biblici, Divino afflante Spiritu. D’altra parte
la salute del settantanovenne gesuita declinava
visibilmente: non solo passò in ospedale
tutto il periodo della malattia mortale di Pio
XII e dell’incoronazione del suo successore
(restò inattivo per un mese), ma ebbe anche
una ricaduta tra aprile e settembre del 1959.
Non per nulla il suo biografo intitola il capitolo
relativo a questo periodo: “Lentamente
verso un tranquillo tramonto?” (5). Purtroppo
(per la Chiesa, e anche per l’anima di
Bea) aveva ancora nove anni di vita... che furono
tuttaltro che un tranquillo tramonto!
Bea diventa cardinale
Il tranquillo tramonto fu interrotto da
una notizia inaspettata, giunta “come un fulmine
a ciel sereno” (Bea) (6): padre Bea sarebbe
diventato cardinale! Il 12 novembre
1959, Giovanni XXIII scrisse a padre Bea:
“Con questa lettera le comunichiamo che
nel prossimo Concistoro la annovereremo
nel Sacro Collegio dei Cardinali della Santa
Romana Chiesa, per manifestare la nostra
benevolenza e per premiare con tale insigne
dignità i suoi meriti per la Chiesa...” (7). Il
15, Giovanni XXIII ottenne il necessario assenso
del Preposito Generale della Compagnia
(i gesuiti fanno voto di rifiutare ogni dignità,
a meno che il Papa dia ordine di accettarle)
ed il giorno successivo la notizia venne
comunicata prima all’interessato (che ricevette
la lettera) e poi al pubblico. Il Concistoro
si svolse il 14 dicembre 1959, durante il
quale furono creati otto nuovi cardinali; tra
questi un professore del “Pontificio Istituto
Biblico”, p. Bea per l’appunto, e due ex-allievi:
Gustavo Testa, bergamasco come Giovanni
XXIII [che p. Schmidt, a pag. 322,
confonde con Mons. Giacomo Testa, che era
solo vescovo] e Albert Meyer. Come tutti i
cardinali, Bea ricevette il titolo di una chiesa
di Roma (la sua fu quella di san Saba) (8) e
fu ascritto tra i membri di alcune Congregazioni
: quella dei Riti, quella dei Seminari e
Università, e nella Pontificia Commissione
Biblica. Significativamente, benché ne fosse
consultore, non fu ascritto tra i membri del
Sant’Uffizio. Il card. Bea stesso ebbe “l’impressione
che al Sant’Uffizio non lo si volesse”
(9). “In effetti, passeranno quattro anni
prima che Bea, nell’autunno 1963, venga annoverato
tra i membri di tale dicastero” (9).
Ma perché Giovanni XXIII diede la porpora
a Padre Bea?
Alcuni, già allora, pensarono che Giovanni
XXIII volesse affidare a Bea “la direzione
e il coordinamento dei lavori preparatori del
Concilio Ecumenico” (10) Per l’immediato,
costoro si sbagliavano, anche se furono profeti
(o bene informati?) per il futuro...
In realtà, lo abbiamo visto, Giovanni
XXIII non conosceva quasi p. Bea e la decisione
di crearlo cardinale ha tutto l’aspetto di
una onorificenza per una carriera brillantemente
conclusa; un po’ come il titolo di generale
che si concede ai colonnelli che vanno in
pensione. Secondo testimonianze attendibili
(Schmidt, Capovilla) si voleva premiare con
questa nuova dignità un membro della Compagnia
di Gesù, vicino a Pio XII, onorando in
Bea il Pontefice defunto. Una sorta di omaggio
postumo al “vecchio regime”. Si pensava
poi al rinnovamento della Commissione Biblica,
e Bea, un esegeta, era la persona giusta.
Nessuna traccia di un interesse speciale a
Bea in vista della preparazione al Concilio,
ancora in mano a Tardini. Insomma, Bea era
considerato un po’ “un vecchietto che non
rappresenta più niente” ed il cardinalato “un
ben meritato premio nel quadro di una tranquilla
vecchiaia” (11). Ma Giovanni XXIII
non tarderà ad accorgersi delle “qualità” del
suo vecchietto, “qualità” che erano da tempo
ben note nei circoli ecumenisti, che si rallegrarono
a ragion veduta per la promozione:
senza Bea papa Giovanni non avrebbe probabilmente
avuto il Concilio che voleva” (12)
(Tra l’altro - sia detto per inciso - il cardinalato
guarì Bea da tutte le sue malattie!) (11).
Le speranze dei nemici della Chiesa
Se l’elevazione al cardinalato di Bea lasciò
indifferenti gli ambienti romani (salvo un
po’ di inquietudine al Sant’Uffizio, come abbiamo
visto), essa non mancò di rallegrare
quelli tedeschi e... israeliani! “Il presidente
del Congresso Mondiale Ebraico inviava un
telegramma al Preposito Generale dell’Ordine,
augurandosi che la nomina di Bea contribuisse
al rafforzamento della Chiesa, la cui
prosperità, in quei tempi burrascosi, stava a
5
cuore a tutti gli uomini di buona volontà”!!
«Dalla Svizzera si chiedeva, sempre da parte
ebrea, seppure per interposta persona, se non
era possibile che Giovanni XXIII, oltre alla
convocazione del Concilio, “convocasse in
una riunione comune i fedeli dell’Antico e
del Nuovo Testamento”» (13). È veramente
strano che gli ebrei conoscessero Bea ancor
meglio di Giovanni XXIII e puntassero su di
lui le loro speranze quando essi stessi affermano
che Bea “prima che diventasse cardinale
non aveva avuto contatti con gli ebrei e
non aveva manifestato un interesse speciale
per il giudaismo posteriore a Cristo” (14). Se
dobbiamo prendere per buona questa versione,
quale fu allora il motivo per il quale i giudei
si affidavano al nuovo porporato? Essi
stessi lo dicono: “Vi è tuttavia, ci sembra, un
modo (...) di vedere la preparazione di Agostino
Bea alla scoperta del giudaismo: la Bibbia
e l’ecumenismo” (14). Lasciamo perdere la
Bibbia, e mettiamo tutta la nostra attenzione
sull’ecumenismo. Le organizzazioni ebraiche
sapevano che il prudente e discreto cardinale
era in realtà un ecumenista, e sapevano che
l’ecumenismo lavorava in favore del giudaismo;
non lo aveva detto Mons. Arrighi?
“Quando uno diventa ecumenico, bisogna inglobarvi
tutti” (15) Anche gli ebrei. “Ecumenico”,
Bea lo era certamente, ed i suoi amici
contavano su di lui ora che il cardinalato gli
apriva molte porte: una nostra vecchia conoscenza
(16), «l’arcivescovo di Paderborn, scriveva
a Bea: “sono particolarmente lieto (della
nomina), con riferimento alla preparazione
del prossimo Concilio e alla causa della riunione
nella fede. Ora lei potrà più efficacemente
alzare la voce per consigliare e per
contribuire affinché questa causa avanzi verso
la sua realizzazione”. Un’altra personalità
della Germania Federale aggiungeva: “Sono
uno di quelli che più si rallegrano per la sua
nomina. Da tempo prego il Signore di affiancare
al papa Giovanni, nei suoi sforzi a pro
della riunione della cristianità separata, i giusti
collaboratori. Ora il Santo Padre ha chiamato
Vostra Eminenza per aiutarlo nella difficile
opera. Sappiamo quanto questa causa le
stia a cuore ormai da molti anni”» (14). Lo
stesso Bea si dichiarò pronto ad essere come
il rappresentante in alto loco delle istanze
ecumeniste, dichiarandolo, secondo Mons.
Willebrands, «allo stesso Giovanni XXIII:
“Mi rallegro dell’elezione - gli disse Bea - soprattutto
perché, con l’autorità e la responsabilità
che mi sono affidate, vorrei operare per
la grande causa dell’unione dei cristiani” (17).
Pertanto, fin dal momento dell’elezione al
cardinalato di Bea, Giovanni XXIII fu messo
dallo stesso al corrente delle sue propensioni
in favore dell’ecumenismo; non si può dire,
quindi, che non fosse al corrente...
D’altro canto, le prime mosse pubbliche
del pur prudente cardinale non mancarono di
manifestare, più chiaramente che nel passato,
la sua posizione. Nella polemica tra l’Università
Lateranense e l’Istituto Biblico, di cui abbiamo
già parlato (18), prese naturalmente parte
per l’Istituto di cui era stato rettore, scrivendo
“un’energica” lettera a quello del Laterano,
«facendogli notare che il Biblico era un
Istituto “Pontificio” a tutti gli effetti» (19). Sapeva
di poter contare su Giovanni XXIII in
questa faccenda. Similmente, avallò la politica
giovannea di apertura a sinistra, di cui parleremo
in seguito, con una omelia che fu intesa
“dall’opinione pubblica come un’implicita rettifica”
a quella nella quale il cardinale Ottaviani,
nello stesso luogo, due mesi prima, aveva
violentemente denunciato il presidente della
repubblica italiana, Gronchi, per la sua intenzione
di recarsi a Mosca (20). Ma senza
dubbio, il progetto più importante portato a
compimento dal neo-cardinale con l’appoggio
indispensabile di Giovanni XXIII, fu la creazione
del Segretariato per l’unità dei cristiani...
6
Giovanni XXIII riceve nel 1959 la Sacra Congregazione
del Sant'Offizio. Si noti tra i presenti Bea (sulla sinistra) che
incontra per la prima volta Roncalli in questa occasione
Il progetto ecumenista di Bea e Jaeger
(maggio-dicembre 1959)...
Come si arrivò alla creazione dell’affatto
nuovo Segretariato per l’unità dei cristiani?
“Tutti (...), sino al 1984, crederanno che il piano
presentato da Bea al papa in una lettera
dell’11 marzo 1960 fosse arrivato spontaneamente
da Paderborn” (21). Mons. Jaeger avrebbe
avuto la brillante idea, avrebbe inviato una
supplica alla Santa Sede tramite il cardinal
Bea, e questi, commosso, l’avrebbe inoltrata a
Giovanni XXIII accompagnata da una sua lettera
di approvazione... In realtà, i due, Jaeger
e Bea, pensavano al progetto già “sei mesi prima
dell’annuncio del suo cardinalato” (22),
cioè verso il maggio del 1959, e quindi ben
dieci mesi prima della lettera di Bea a
Giovanni XXIII! Non per nulla “a Paderborn
è come se l’annuncio del Concilio da parte di
papa Giovanni fosse già atteso da lungo tempo,
se non addirittura previsto” (23)! Un incidente
avvenuto a Rodi, durante la riunione
del Comitato Centrale del Consiglio Ecumenico
delle Chiese (agosto 1959), convinse i due
prelati tedeschi a passare all’azione concretizzando
il loro progetto (24). Così, l’otto novembre
1959, Jaeger scrisse a Bea: “Il Vaticano dovrebbe
(...) creare un ufficio di esperti con annesso
un ufficio-stampa” (23). Per ora l’arcivescovo
di Paderborn si accontentava di poca
cosa. Ma, nel frattempo, Bea aveva ricevuto
l’annuncio della sua nomina cardinalizia! Il 30
novembre poteva rispondere al suo amico,
prospettando qualche cosa di più che un semplice
ufficio di esperti: “La cosa più importante
- scrisse - è certamente la questione che il
movimento ecumenico abbia chi lo rappresenti
a Roma. Appena saranno passate le feste,
ne parlerò direttamente al Santo Padre. Come
a suo tempo si era creata una Commissione
pro Russia, così ora si potrebbe crearne una
pro motione ecumenica” (23). Ma, per l’appunto,
come avrebbe reagito il “Santo Padre”?
...e le prime reazioni di Giovanni XXIII
“Ci siamo capiti perfettamente”, annunciò
trionfante il cardinal Bea nell’uscire dall’udienza
con Giovanni XXIII, il 9 gennaio 1960,
rivolgendosi al proprio segretario, p. Schmidt.
Non confidò altro (23), ma il collaboratore del
vecchio gesuita capì allora che era fatta: “Penso
- scrive p. Schmidt - che fin da quel momento
fosse nata tra i due uomini di Dio
un’intesa e una fiducia che in seguito non farà
che crescere e che assicurerà al futuro Segretariato
un vigoroso appoggio da parte del Papa,
senza di cui esso avrebbe avuto un cammino
molto meno spedito” (25). (Ancora una volta
vale il detto: “Dimmi con chi vai, e ti dirò
chi sei”). Bea sondò il terreno e lo trovò propizio:
poteva passare così, forte della simpatia
di Roncalli, alla seconda parte del piano, già
prevista prima ancora della fatidica udienza.
Infatti, il 1° gennaio 1960, il cardinale aveva
scritto al direttore dell’Istituto Johann-Adam
Möhler di Paderborn (26), Mons. Stakemeier,
per proporgli il suo piano: l’Istituto avrebbe
dovuto inviare a Bea una istanza formale di
creazione di una Commissione per il movimento
ecumenico; lui l’avrebbe appoggiata ed
inoltrata al Papa; nel frattempo gliene avrebbe
parlato in una buona occasione (probabilmente
lo fece già il 9 gennaio seguente) (27).
Forte della comprensione e dell’incoraggiamento
di Roncalli, Bea si mise al lavoro, corresse
il progetto di Paderborn e rassicurò
Stakemeier, con una lettera del 20 gennaio:
“Il Santo Padre sa che mi occupo della questione
ecumenica, e ne è molto contento” (28).
Su questo nessun dubbio: Giovanni XXIII vedeva
nel progetto-Bea la realizzazione dei
suoi stessi desideri per il Concilio che aveva
convocato. Ma... e la Curia? Il Sant’Uffizio? I
cardinali non ecumenisti? Cosa avrebbero
detto? Bea li conosce bene. Devono accorgersi
del pericolo il più tardi possibile. Ritorna sul
progetto da lui richiesto all’Istituto Möhler e
lo corregge nuovamente. Ecco le astuzie del
cardinale Bea (“Bea, il gesuita, è gesuitico”
(29) scrive, malignamente, l’ex-gesuita Hebblethwaite):
«Ho tenuto conto - scrive -
dell’esperienza che nel corso di anni ho acquisito
nelle Congregazioni romane e in contatto
con esse, per evitare ogni cosa che potesse urtare
o suscitare delle critiche. Così ho... omesso
di proposito di determinare più precisamente
le finalità e i compiti della Commissione,
per non irritare la suscettibilità di altri organi
e creare delle difficoltà al progetto... Dopo
lunga riflessione, abbiamo formulato il nome
in modo da non usare il termine “ecumenico”
(30), perché le discussioni in connessione
con il Consiglio [Ecumenico delle Chiese]
hanno dimostrato che esso viene inteso in vari
modi. L’attuale titolo pro unitate christianorum
promovenda si basa... sull’articolo 381 del
Sinodo Romano del 1960, dove è detto: “baptismo
homo... generali titulo christiani in Mystico
Corpore membrum efficitur Christi sacerdotis...”
(31). Nell’attuale formulazione, il ti-
7
tolo evita la questione del “ritorno” e cose simili
» ed aggiunse: «...L’importante è che tutto
sia espresso in modo da convincere» (32). Abilmente,
Bea evitava di pronunciare la parola
“ecumenismo”, troppo chiaramente legata alla
concezione protestante dei rapporti tra i
“cristiani”, ma anche di parlare di “ritorno dei
non-cattolici in seno alla Chiesa”, secondo la
classica concezione cattolica di questi rapporti.
“Paderborn non apportò alcun cambiamento.
Jaeger fece senz’altro suo il progetto” (34)
riscritto da Bea, mettendoci solo la firma ed
rinviandolo a Bea il 4 marzo, a nome suo e
dell’Istituto Möhler. L’istanza “spontanea” (!)
ricordava il lavoro svolto fino ad allora dagli
ecumenisti (l’Istituto Möhler di Paderborn, la
Conferenza Cattolica per le questioni ecumeniche
diretta da Mons. Willebrands, un Centro
di Parigi, il monastero di Chevetogne in Belgio,
l’Associazione Unitas di Roma...) ed auspicava
un coordinamento di tutte queste attività
da parte di una “Pontificia Commissione
per promuovere l’unità dei cristiani” la cui
istituzione avrebbe rallegrato i cattolici (!) ma
anche i protestanti di buona volontà. Bea trasmise
la supplica a Giovanni XXIII l’11 marzo
1960, accompagnandola con una sua lettera di
presentazione. In essa Bea scriveva: “Il movimento
ecumenico, tanto fra i cattolici che fra i
non cattolici, ha assunto oggi tali dimensioni
che la Chiesa non se ne può disinteressare (...)
La questione si rende ancora più importante
in vista dell’imminente Concilio Ecumenico
così felicemente annunziato da Vostra Santità”.
Infine, Bea espresse l’opinione che la
Commissione avrebbe avuto come compito
anche quello di esaminare i punti di vista “di
parte protestante”, riguardanti la Chiesa ed il
Concilio. “Da notare - scrive lo Schmidt - come,
in paragone con la supplica, qui l’orizzonte
si è notevolmente allargato su tutto il movimento
ecumenico e in modo particolare su
quanto pensano e fanno gli altri cristiani” (33).
Veramente, con Giovanni XXIII, il cardinal
Bea poteva parlare apertamente...
La nomina più importante del pontificato
(14 marzo 1960)
Infatti, «la reazione del Papa alla supplica
fu positiva e sorprendentemente rapida. Lo
stesso Cardinale [Bea] ne scrisse più tardi in
questo modo: “La supplica fu trasmessa con
la mia lettera dell’11 marzo. Appena due
giorni più tardi, il Papa mi fece sapere il suo
accordo di massima e il desiderio di discuterne
gli ulteriori particolari, il che avvenne infatti
durante l’udienza che ebbi questo stesso
giorno”» (34). Giovanni XXIII “aveva letto
tutto” ed “era d’accordo”. Il 12 marzo consultò
in proposito il cardinale segretario di
Stato, Tardini. Pare che Giovanni XXIII non
abbia incontrato obiezioni, neanche “alla designazione
del cardinal Bea alla presidenza
del nuovo organismo” (Mons. Capovilla).
Anzi, Capovilla testimonia che Tardini avrebbe
osservato: “Sì, è un uomo tranquillo che
non ci creerà difficoltà” (34). Veramente, si resta
sconcertati di fronte all’ingenuità dei buoni!
Avuta via libera, Giovanni XXIII convocò
Bea la domenica del 13 marzo, e la sera annotò:
“...Stamattina ricevetti in privatis il Cardinale
Bea a cui affidai l’incarico di preparare,
come capo da me nominato, una Commissione
pro unione christianorum promovenda
(34). Infine, sulla lettera del cardinale Bea,
Giovanni XXIII scrisse in calce: “Presa intelligenza
con Card. Segretario di Stato e con
Card. Bea (12-13 marzo). Si faccia come viene
proposto. Il Card. Bea sia Presidente della
Pont. Comm. proposta, risponda e prenda
contatto col vescovo di Paderborn. Si prepari
tutto. Ma quanto a pubblicazione ufficiale si
attenda a dopo Pasqua, mettendosi in linea
con le altre Commissioni che si verranno nominando
sopra le diverse materie del Concilio...
Ita. Die XIV martii 1960. Jo. XXIII” (34).
Commenta Hebblethwaite: “Ita., scrive Giovanni,
cioè: così sia. È forse consapevole di
aver fatto la nomina più importante del suo
pontificato?” (35). Lo stesso Bea fa capire che
Giovanni XXIII se ne rendeva conto: «“Questa
rapidità di decisione sembra indicare come
il Papa abbia cercato forse già dall’annuncio
del Concilio il modo con cui concretare la
finalità ecumenica da lui assegnata al Concilio
e abbia visto nella proposta di costituire
un apposito organismo la provvidenziale via a
questa mèta”. Il segretario particolare di Giovanni
XXIII [Capovilla] ci rivela ancora un
altro aspetto, tutto soprannaturale [sic], della
rapida decisione del Papa, quando scrive:
“Dinnanzi alla proposta che rispondeva concretamente
all’appello contenuto nell’annuncio
del Concilio... il Papa provò grande felicità,
come se avesse ricevuto un nuovo segno
del cielo, tanto più gradito perchè proveniva
da un Paese dove cattolici e protestanti avevano
già dato l’avvio alla norma evangelica
[!!] della tolleranza... Il progetto gli veniva
trasmesso da un cardinale gesuita che egli apprezzava
assai”» (36). Jaeger e Bea non ingan-
8
narono dunque Giovanni XXIII, ma gli dettero
l’opportunità di realizzare il Concilio come
egli, e non la Curia, lo sognava. E di fatto,
quando ancora le Commissioni teologiche
preparatorie al Concilio non erano ancora nate,
già vagiva, prima arrivata, quella di Bea!
La Commissione per promuovere l’unità dei
cristiani avrebbe avuto, pertanto, un suo ruolo
da giocare nella preparazione del Concilio
e, poi, nel suo svolgimento, a fianco e in concorrenza
con le altre Commissioni. Ma, fin
dall’udienza al cardinal Bea del 13 marzo,
Giovanni XXIII assicurava al nuovo organismo
la sopravvivenza al Concilio stesso: egli
“precisava di pensare per il momento ad un
organismo al servizio del Concilio. A renderlo
organo stabile della Curia romana si sarebbe
pensato più tardi” (34).
La “teologia del battesimo”, fondamento
del Segretariato per l’unione dei cristiani
Mentre il cardinal Tardini e la Curia romana
allestivano le Commissioni preparatorie
al Concilio Vaticano II, il cardinal Bea,
da parte sua, su ordine di Giovanni XXIII,
redigeva lo Statuto del nuovo organismo
“per promuovere l’unità dei cristiani”.
Un primo cambiamento, rispetto al progetto
iniziale, consistette nel cambiamento del nome
stesso della nuova entità, che da Commissione
diveniva Segretariato. «Il cambiamento -
scrive p. Schmidt - fu dovuto del tutto all’iniziativa
personale del Papa. Il Cardinale ne riferisce
in un articolo del 1965, intitolato Il
Segretariato per l’unione dei cristiani: Qualche
settimana più tardi (dopo l’udienza del 13 marzo),
dopo un’adunanza della Sacra Congregazione
dei Riti tenuta alla presenza del Santo
Padre, egli mi chiamò per dirmi che credeva
meglio che il nuovo organismo, anziché “Commissione”,
si chiamasse “Segretariato”: così,
diceva, esso si sarebbe potuto muovere più liberamente
nel campo piuttosto nuovo e insolito
assegnatogli. Devo dire che in questo articolo
il Cardinale ha rifinito alquanto le parole
del Papa. Ricordo che nelle nostre conversazioni
egli me le riferiva così: “Le Commissioni
hanno la loro tradizione. Chiamiamo il nuovo
organismo Segretariato, così non siete legati ad
alcuna tradizione, siete più liberi”» (37). Da
queste parole, ed i fatti lo dimostrarono, appare
evidente che il passaggio da Commissione a
Segretariato non fu un declassamento per l’organismo
ecumenico (come sostennero poi gli
elementi “conservatori”) ma una misura tattica
di Giovanni XXIII per dare via libera al
cardinale Bea ed ai suoi progetti rivoluzionari.
Il lavoro per l’elaborazione degli Statuti
del nuovo organismo durò un mese e mezzo,
cioè fino al 23 aprile 1960. In essi, “è notevole
l’indicazione della base teologica del nome
della nuova Commissione” (36), chiamata poi,
come abbiamo visto, Segretariato. Commissione
o Segretariato “ad unitatem christianorum
fovendam”... «Parlando di unità dei cristiani -
scrive ancora Schmidt - si allude al canone 87
del Codice di Diritto Canonico e all’articolo
372 della “Costituzione del primo Sinodo Romano”
(38). Ora, il predetto canone dice: “Per
il battesimo, l’uomo viene costituito persona
nella Chiesa di Cristo con tutti i diritti e doveri
dei cristiani, salvo che per i diritti vi sia un
ostacolo che ne impedisca l’uso”. L’articolo del
Sinodo Romano, invece, ispirandosi all’enciclica
Mediator Dei di Pio XII, afferma: “Con il
battesimo, per il generale titolo di cristiano,
l’uomo diventa membro del Corpo Mistico di
Cristo Sacerdote”. Così il Cardinale anticipa
qui uno dei suoi grandi contributi all’ecumenismo,
quello riguardante la “teologia del battesimo”,
un tema che egli elaborò e propose al
grande pubblico della Chiesa come forse nessun
altro» (39). Mi scuso con il lettore se a questo
punto inserisco una digressione sulla “teologia
del battesimo” inventata dal cardinal
Bea. Non mi sembra di uscire dal seminato.
Questa teoria, infatti, sta alla base di quel Segretariato
per l’unità dei cristiani approvato e
creato da Giovanni XXIII. Con questa approvazione,
egli si rese corresponsabile dell’
errore che fondava dottrinalmente questo organismo
e che si ritrova nei testi conciliari. (40)
Precisiamo innanzitutto il ruolo di questa
“teologia del battesimo”. Messa a fondamento
del Segretariato per l’unità dei cristiani non
è però il fondamento degli errori degli ecumenisti.
Si tratta solo, lo vedremo, di uno dei
loro sofismi (un argomento falso apparentemente
vero) per scardinare quei punti della
dottrina cattolica incompatibili con l’ecumenismo.
Essa non è un fine, ma un mezzo.
Precisiamo poi il campo di applicazione
della “teologia del battesimo” propugnata
da Bea: l’ecclesiologia, o dottrina sulla Chiesa.
Gli ecumenisti hanno un’idea nuova della
Chiesa; la “teologia del battesimo” sarà uno
strumento sofistico per realizzarla. Più precisamente,
questa teoria interessa la questione
vitale (per la salvezza eterna, giacchè “fuori
dalla Chiesa non c’è salvezza”) (41) della appartenenza
alla Chiesa.
9
Diamo poi le tesi opposte. Per i cattolici,
tutti i non cattolici, anche se validamente battezzati,
non fanno parte della Chiesa. Per gli
ecumenisti (Bea, Giovanni XXIII, Vaticano
II), i non cattolici, almeno se battezzati, fanno
parte, in qualche modo, della Chiesa. Le due
tesi, come si vede, sono contraddittorie.
Ecco la dottina cattolica, mirabilmente
riassunta da Pio XII: “In realtà, tra i membri
della Chiesa bisogna annoverare solamente
coloro che ricevettero il lavacro della rigenerazione
e, professando la vera fede, né da se
stessi disgraziatamente si separarono dalla
compagine di questo Corpo, né per gravissime
colpe commesse ne furono separati dalla
legittima autorità” (42). Questa dottrina, per
ammissione dello stesso p. Schmidt, è un
“problema” (43) per gli ecumenisti. Non basta
essere battezzati per far parte del “Corpo
Mistico di Cristo che è la Chiesa” (Pio XII,
Mystici Corporis, DS. 3809). È necessario anche
professare la vera fede (quella cattolica),
non essersi separati da se stessi con l’apostasia,
l’eresia o lo scisma, o non essere stati separati
dalla legittima autorità con la scomunica.
Apostati, eretici, scismatici e scomunicati
(vitandi) non fanno parte del Corpo Mistico
di Cristo, non fanno parte della Chiesa.
Vediamo adesso il sofisma messo in atto
da Bea per sormontare il “problema”. Innanzitutto,
quali sono le “origini del pensiero del
cardinale in proposito”? (44). Padre Schmidt ci
presenta due “maestri” di Bea: il Monsignore
di Paderborn, Josef Höfer, ed “il noto pastore
luterano R. Baumann, che visitò il p. Bea nel
1956” (45). Una dottrina di origine ecumenicoprotestante,
dunque, totalmente sconosciuta
alla Chiesa Cattolica. «Il card. Willebrands fa
notare quanto le relative delucidazioni del
presidente del Segretariato costituissero, in
quel tempo, un’autentica novità: “Il pensiero
del comune battesimo e delle sue conseguenze
ecumeniche è diventato, oggi, nostro patrimonio
naturale. Allora, le cose stavano ben
diversamente. Un autorevole teologo romano
- non italiano - dichiarava pubblicamente che
le relative delucidazioni di Bea erano assolutamente
insostenibili”» (44). Questo teologo,
rivela in una nota p. Schmidt, era p. Sebastiano
Tromp S.J., segretario della Commissione
teologica nella fase preparatoria e nel Concilio
stesso, nonchè, il che è ancor più interessante,
teologo ispiratore di Pio XII proprio
per l’Enciclica Mystici Corporis!
Per sostenere questa dottrina insostenibile
Bea prese «come punto di partenza varie
dichiarazioni di papa Giovanni XXIII, in particolare
un passo dell’enciclica programmatica
Ad Petri cathedram, in cui il Papa designa
gli altri cristiani come propri figli e fratelli:
“Permettete che con ardente desiderio vi
chiamiamo fratelli e figli (...)”» (44), ed anche
il discorso alla commissione preparatoria del
13 novembre 1960 (46). Ne concludeva, facendo
dire a Pio XII quel che non aveva detto:
“L’enciclica Mystici Corporis nega l’appartenenza
degli eretici e degli scismatici al Corpo
Mistico, che è la Chiesa, solo in questo senso
pieno nel quale si dice dei cattolici, cioè essa
nega la piena participazione alla vita che Cristo
comunica alla sua Chiesa, e allo Spirito divino
di Cristo che anima e vivifica la Chiesa...
Ma l’enciclica non esclude affatto ogni appartenenza
alla Chiesa e ogni influsso della grazia
di Cristo. (...) Lo Spirito Santo opera in
modo speciale e abbondantemente anche in
loro, benché, l’abbiamo detto, non in maniera
così piena come nei membri visibilmente uniti
con la Chiesa Cattolica” (47). Questa dottrina
è stata recepita dal Vaticano II (48):
“Con coloro che, battezzati, sono sì insigniti
del nome cristiano, ma non professano
la fede integrale o non conservano l’unità
della comunione sotto il successore di Pietro,
la Chiesa sa di essere per più ragioni unita.
(...) A questo si aggiunge la comunione di
preghiere e di altri benefici spirituali; anzi,
una certa unione nello Spirito Santo, poiché
anche in loro lo Spirito con la sua virtù santificante
opera per mezzo di doni e grazie, e
ha fortificato alcuni di loro fino allo spargimento
del sangue”.
(Costituzione dogmatica sulla Chiesa
Lumen Gentium, n. 15).
“Quelli poi che ora nascono e sono
istruiti nella fede di Cristo in tali comunità
[separate] non possono essere accusati del
peccato di separazione, e la Chiesa Cattolica
li abbraccia con fraterno rispetto e amore.
Quelli infatti che credono in Cristo ed hanno
ricevuto debitamente il battesimo sono costituiti
in una certa comunione, sebbene imperfetta,
con la Chiesa Cattolica. (...) Giustificati
nel battesimo dalla fede, sono incorporati
a Cristo e perciò sono a ragione insigniti del
nome di cristiani e dai figli della Chiesa Cattolica
sono giustamente riconosciuti come
fratelli nel Signore. (...) Perciò le stesse
Chiese e comunità separate, quantunque
crediamo che abbiano delle carenze, nel mistero
della salvezza non sono affatto spoglie
10
di significato e di peso. Poiché lo Spirito di
Cristo non ricusa di servirsi di esse come di
strumenti di salvezza il cui valore deriva dalla
stessa pienezza della grazia e della verità
che è stata affidata alla Chiesa Cattolica”.
(Decreto sull’ecumenismo, Unitatis redintegratio,
n. 3).
Nel suo stile brutale ma diretto, Hebblethwaite
commenta così i sofismi di Bea:
“Da un’ecclesiologia che esclude gli altri cristiani
si passa a quella che li ingloba; essa si
appoggia su un’antica tradizione [sic] che vede
nel battesimo il legame comune tra tutti quelli
che invocano il nome di Cristo. Taglia fuori
l’enciclica Mystici Corporis, la insabbia nelle
pagine del Denzinger, come curioso documento
storico del 1943” (46). Giovanni XXIII, essendo
morto due anni prima, non ha potuto
sottoscrivere questi documenti conciliari. Tuttavia,
approvando l’opera ed il pensiero del
cardinal Bea, ha approvato altresì implicitamente
quei testi del Vaticano II che hanno recepito,
come abbiamo visto, le tesi del Presidente
del Segretariato per l’unità dei cristiani.
Superno Dei Nutu (5 giugno 1960) e le Commissioni
preparatorie
«Il 30 maggio 1960 (...) il Papa radunò i
cardinali nella biblioteca privata per ragguagliarli
sull’imminente pubblicazione delle
Commissioni preparatorie del Concilio.
Menzionò anche l’istituzione di “alcuni Segretariati”,
in primo luogo quello per l’unione
dei cristiani, aggiungendo di ritenere che
il cardinale Bea certamente avrebbe guidato
bene il nuovo organismo. Fu l’unico nome
menzionato in tutto il discorso e che per di
più non figura nel testo ufficiale pubblicato.
Il Papa l’aveva quindi aggiunto spontaneamente.
Segno, questo, che la cosa gli stava
particolarmente a cuore. Le Commissioni
conciliari preparatorie come pure i Segretariati
furono pubblicati il 5 giugno, giorno di
Pentecoste, con il Motu Proprio Superno
Dei Nutu. Il giorno dopo furono pubblicati i
nomi dei presidenti” (49) ma il segretario generale
del Consiglio Ecumenico delle Chiese,
Visser’t Hooft, era già stato informato da
alcuni giorni da Mons. Willebrands, incaricato
appositamente da Bea.
Col Motu Proprio Superno Dei Nutu iniziavano
i lavori delle Commissioni e dei Segretariati
per la preparazione prossima al
Concilio, essendo terminata l’attività della
Pontificia Commissione Antipreparatoria
(istituita, ricordiamolo, il 17 maggio 1959, festa
di Pentecoste dell’anno prima).
Le Pontificie Commissioni Preparatorie
del Concilio Ecumenico Vaticano II (50) erano
composte di 12 Commissioni e 3 Segretariati:
la Commissione Centrale, presieduta
da Giovanni XXIII stesso (51), quella Teologica
(presidente: card. Ottaviani, segretario:
p. Tromp), quella dei Vescovi (p.: card. Mimmi),
della Disciplina del clero e del popolo
cristiano (p.: card. Ciriaci), dei Religiosi (p.:
card. Valeri), della Disciplina dei Sacramenti
(p.: card. Aloisi Masella), della Sacra Liturgia
(p.: card. G. Cicognani, segretario: Annibale
Bugnini), degli Studi e dei Seminari (p.:
card. Pizzardo) delle Chiese Orientali (p.:
card. A. G. Cicognani), delle Missioni (p.:
card. Agagianian), dell’Apostolato dei Laici
(p.: card. Cento), e la Cerimoniale (p.: card.
Tisserant), il segretariato della Stampa e dello
Spettacolo (p.: Mons. O’Connor), quello
per l’Unione dei Cristiani (p.: card. Bea, segretario:
Mons. Willebrands) e quello Amministrativo
(p.: card. di Jorio).
La lunga pappardella non è inutile:
un’analisi attenta è rivelatrice. Da un lato, i
nomi dei presidenti (tutti cardinali tranne
O’Connor e... Giovanni XXIII) sono normalmente
quelli “del prefetto della Congregazione
romana (o dicastero) corrispondente”, per
cui le Commissioni erano in larghissima parte
sotto il controllo della Curia” (52) e, quindi, dei
“conservatori”. “La cosa diventò subito evidente
- commenta disgustato Hebblethwaite -
quando furono rivelati i nomi dei membri delle
commissioni preparatorie. Erano più di ottocento.
Non è facile esprimere un giudizio
complessivo su un gruppo così importante, i
critici, però, fanno osservare che, essenzialmente,
essi rappresentano la scuola romana,
una scuola preoccupata più di esporre e difendere
la verità rivelata - compito della teologia
- piuttosto che di esplorare le frontiere della
conoscenza” (Che cosa avrebbero dovuto fare?)
(52). “Persino lo stesso Montini, a questa
data, resta tagliato fuori dai preparativi al
Concilio” (52), supremo scandalo per i modernisti!
Però... un occhio vigile percepisce di già i
segni sinistri dell’infiltrazione progressista. “Il
cardinal Giovanni Battista Montini - aggiunge
compiaciuto Hebblethwaite - si diede da fare
per introdurre nella Commissione Liturgica il
suo consigliere [e futuro cardinale], padre
Giulio Bevilacqua, oratoriano (...)” (52). L’esito
della manovra fu positivo, e ciò non stupi-
11
sce se si pensa che il segretario della Commissione
è il futuro padre della “nuova messa”,
Annibale Bugnini (53). E poi, erra parzialmente
Hebblethwaite quando scrive: che “gli
esclusi dalle commissioni preparatorie (...)
rappresentano il fior fiore [degli eretici, n.d.a.]
di quest’epoca; non sono stati invitati i gesuiti
John Courtney Murray [uno dei padri della libertà
religiosa, n.d.a.], e John L. Mc Kenzie
degli Stati Uniti, i fratelli Karl e Hugo Rahner,
bavaresi, e tantomeno i francesi Henri de
Lubac e Jean Daniélou. Assenti pure i domenicani
francesi Yves-Marie Congar e Marie
Dominique Chenu. In sintesi, tutti quelli che
erano stati presi di mira dall’enciclica Humani
Generis o che avevano avuto altri problemi
col Sant’Uffizio, si trovarono rigorosamente
esclusi.” (52). Fosse vero! Sarebbe stato il minimo
della decenza non far preparare il Concilio
a chi era stato severamente condannato,
pochi anni prima, da Pio XII. Ed invece... benché
solo tra i consultori della Commissione
Teologica... fanno già capolino i nomi di Congar
e de Lubac! Difficile pensare che a nominarli
sia stato il presidente della Commissione,
cardinal Ottaviani. Ed allora... chi? Chi, se
non Giovanni XXIII, il diretto superiore di
Ottaviani? Tuttavia, il più grande pericolo per
la fede non si trovava più nella Commissione
Liturgica o in qualche consultore modernista
della Commissione Teologica , bensì nel Segretariato
del cardinal Bea. Lì, i neomodernisti
non erano due o tre, bensì praticamente
tutti. Infatti, “buona parte dei consultori del
nuovo Segretariato fu scelta tra i partecipanti
alla Conferenza Cattolica per le questioni ecumeniche
di Mons. Willebrands, che divenne
segretario... del Segretariato (54). Lavorando
un po’ di fantasia (ma non troppo) Wynn descrive
le reazioni del cardinal Ottaviani all’istituzione
del Segretariato: “Ottaviani montò su
tutte le furie perché era convinto che spettasse
al Santo Uffizio il compito di controllare tutta
l’attività ecumenica, per rassicurarsi che i cattolici
non avrebbero fatto alcuna concessione,
in materia dottrinale, nel loro zelo per la riunificazione”
(55). Al contrario di Wynn, non conosco
le reazioni immediate di Ottaviani, o di
altri, all’istituzione del Segretariato ma, se vi
furono, esse erano più che motivate. Esso si
presenta come un corpo estraneo in seno alle
Commissioni. Queste, lo abbiamo visto, ricalcano
le Congregazioni della Curia romana.
Ora, il Segretariato, nella Curia, non esisteva,
e Bea non era prefetto di alcun dicastero. Degli
altri due Segretariati, uno era puramente
amministrativo, senza influenze dottrinali, l’altro
secondario, il solo a non avere un cardinale
a presiederlo. Quello di Bea, invece, riguardava
un tema delicatissimo concernente la fede,
fino ad allora di stretta competenza del
Sant’Uffizio. In pratica, due organismi, la più
prestigiosa ed antica Congregazione romana
ed il nuovo Segretariato, dovevano occuparsi
della stessa materia... da due posizioni contraddittorie:
combattere eretici ed eresie,
l’uno, fraternizzare con i medesimi, l’altro!
Mentre il Sant’Uffizio era un po’ il simbolo
della Chiesa di sempre, il Segretariato era
l’embrione della “nuova Chiesa conciliare”
che stava nascendo.
Giovanni XXIII, istituendolo, descrisse in
maniera “molto scarna e piuttosto generica”
(49) la nuova entità: “Per mostrare in maniera
speciale il Nostro amore - diceva il Papa - e la
Nostra benevolenza verso quelli che portano
il nome di cristiani, ma sono separati da questa
Sede Apostolica, e perché possano seguire
i lavori del Concilio e trovare più facilmente
la via per raggiungere quella unità che Gesù
Cristo ha implorato dal Padre celeste con ardente
preghiera, Noi abbiamo istituito un Comitato
(in lat.: coetus) particolare o Segretariato”
[AAS, 52 (1960), 436]. “Ciò creerà -
ammette Schmidt - qualche ambiguità riguardo
alla competenza del Segretariato a preparare
degli schemi per il Concilio”, per cui nasceranno,
inevitabili, i conflitti tra Ottaviani e
Bea. Ma si tratta di una ambiguità voluta, come
abbiamo visto, da Giovanni XXIII per far
accettare il Segretariato, diminuendone il peso,
in apparenza, per poi sostenerlo con il suo
appoggio e farlo trionfare.
Il lavoro delle Commissioni preparatorie
Il 9 giugno del 1960, quattro giorni dopo
l’istituzione delle commissioni preparatorie
col Motu Proprio Superno Dei Nutu, Mons.
Felici, segretario della Commissione Centrale,
sottopose agli addetti ai lavori “i testi dei
soggetti da studiare, quali erano stati scelti o
approvati dal Sommo Pontefice” (56). I soggetti
in questione erano quelli scelti in seguito
all’inchiesta della Commissione Antipreparatoria,
diretta dal cardinal Tardini; ora, le
Commissioni Preparatorie dovevano allestire
gli schemi che, normalmente, i Padri conciliari
avrebbero dovuto, in seguito, votare.
“Quattro mesi più tardi [quindi in ottobre],
questi organi incominciarono ufficialmente
la loro attività: Giovanni XXIII ricevette in
12
San Pietro le 871 persone implicate (...). Dopo
due anni di lavoro, che presero fine alla
vigilia del Concilio [iniziato l’11 ottobre
1962] con la dissoluzione della maggior parte
di questi organi, erano pronti 75 schemi”.
Esaminati dalla Commissione Centrale, furono
ridotti a 20. Secondo un membro del
Segretariato generale, Mons. Carbone, «nessun
concilio aveva beneficiato di una preparazione
“altrettanto vasta, condotta con una
tale diligenza, e così profonda”» (56).
Non posso, nel limite postomi da questo
breve capitoletto, esaminare in dettaglio i due
anni di lavoro delle commissioni. D’altra parte,
dedicherò tutta la mia attenzione, nel descrivere
gli avvenimenti di questi due anni di
pontificato roncalliano, al lavoro svolto dal
Segretariato di Bea, e questo fin dalla prossima
puntata. È bene però, per concludere
questo capitolo, dare di già un giudizio complessivo
sul lavoro preparatorio al Concilio.
Si sa che la prima sessione del Concilio
Vaticano II, quella svolta sotto Giovanni
XXIII dall’11 ottobre all’otto dicembre del
1962, fu caratterizzata da una vera “rivoluzione”,
consistente nel rifiuto della quasi totalità
del lavoro preparatorio al Concilio: “Il
Vaticano II - scrive Romano Amerio - ebbe
un esito difforme da quello cui preludeva il
Concilio preparato e anzi, come si vedrà, la
preparazione fu sùbito e interamente posta
in un canto” (57). Questo fatto, indiscutibile,
ha messo un po’ in ombra le gravi deficienze
già presenti nello stesso lavoro preparatorio.
Ecco come Mons. Lefebvre, ad esempio, descrive
questo lavoro: “Nella mia qualità di
membro della commissione centrale preconciliare
(...) potei constatare personalmente
che il Concilio fu preparato con grande serietà
e fedeltà alla Tradizione. Bisognerebbe
poter pubblicare adesso tutti quegli schemi
preparatori per constatare a che punto si trovasse
la dottrina della Chiesa il giorno precedente
l’apertura del Concilio” (58). Purtroppo,
le cose non stanno esattamente così:
“Non è che vene di pensiero ammodernante
non siano riconoscibili nella fase preparatoria”,
ammette Romano Amerio, che collaborò
col vescovo di Lugano, anch’egli membro
della Commissione preparatoria centrale.
E cita lo schema sulla liturgia, quello sui sacramenti,
con facilitazioni per l’assoluzione
comunitaria, quello sull’ordine sacro, col progetto
di ordinare sacerdoti delle persone sposate
(59), quello sulla disciplina del clero, con
la “rimozione di vescovi e di presbiteri, toccata
una data età”, quello sulla formazione
dei seminaristi, “assimilata quanto più possibile
alla formazione dei laici”, quello sulla
“riunione dei cristiani” che poggiava “sopra
una implicita parziale parità tra cattolici e
acattolici”, un votum circa la talare, “una disputabile
posizione sul limbo dei bambini e
persino degli adulti” ed infine “il generale ottimismo
che colora le diagnosi e i pronostici
della Commissione centrale preparatoria nella
sua minoranza”, che al Concilio diverrà
maggioranza. Ma, soprattutto, vi era già lo
schema “de libertate religiosa (card. Bea), (...)
[che] avanzava in sostanza la gran novità che
venne infine adottata, facendo uscire (sembra)
dalla via comune, canonizzata e perpetuamente
professata dalla Chiesa Cattolica”
(57). Questo schema era il frutto del lavoro
ecumenico del Segretariato voluto da Bea e
Roncalli. Su di esso ritornerò illustrando il
lavoro del Segretariato dal 1960 fino alla
morte di Giovanni XXIII. Ma fin d’ora, ci
tengo a sottolineare ancora una volta la gravità
della creazione roncalliana di questo organismo,
illustrandola con un esempio. Lo ricorda
lo stesso Mons. Lefebvre, come testimone
oculare: «Devo raccontarvi un piccolo
incidente accaduto nel 1962, quando ero
membro della Commmissione centrale preparatoria
del Concilio. Noi tenevamo le nostre
riunioni in Vaticano, ma l’ultima fu
13
Giovanni XXIII
drammatica. Nei fascicoli dati alla Commissione
centrale ve ne erano due sullo stesso
soggetto: uno veniva dal cardinale Bea, presidente
della Commissione per l’unità e l’altro
dal cardinale Ottaviani, presidente della
Commmissione teologica. Quando li abbiamo
letti, quando io stesso ho letto i due schemi,
ho detto: “è molto strano, sono due punti
di vista sullo stesso soggetto completamente
diversi, ossia la libertà religiosa o l’attitudine
della Chiesa di fronte alle altre religioni”.
Quello del cardinale Bea era intitolato De libertate
religiosa; quello del cardinale Ottaviani
De tolerantia religiosa. Vedete la differenza,
la profonda differenza? (60) Cosa accadeva?
Per qual motivo due schemi completamente
diversi sullo stesso soggetto? Al momento
della riunione, il cardinale Ottaviani si
alza e, segnandolo col dito, dice al cardinale
Bea: “Eminenza, lei non aveva il diritto di fare
questo schema, non aveva il diritto di farlo
perché è uno schema teologico e dunque di
pertinenza della Commissione di teologia”. E
il cardinale Bea alzandosi dice; “Scusi, avevo
il diritto di fare questo schema come presidente
della Commissione dell’unità: se c’è
una cosa che interessa l’unità è proprio la libertà
religiosa”, e aggiunse rivolto al cardinale
Ottaviani: “Mi oppongo radicalmente a
quanto dite nel vostro schema de Tolerantia
religiosa”. (...) Fu l’ultima seduta della Commissione
centrale e chiaramente potemmo
avvertire, alla vigilia del Concilio, prospettarsi
davanti a noi, tutta la lotta che si sarebbe
svolta durante il Concilio. Ciò vuol dire che
queste cose erano preparate già prima del
Concilio. Il cardinale Bea non ha certo fatto
il suo schema de libertate religiosa senza essersi
accordato con altri cardinali» (61) e, possiamo
aggiungere, con Giovanni XXIII. È lui
che ha sostenuto Bea. È lui che ha voluto il
Segretariato. E due soli anni di lavoro di questo
organismo hanno dato come frutto, tra
l’altro, uno schema contrario alla dottrina
della Chiesa da presentare al Concilio per essere
approvato. Tutto ciò sotto la responsabilità,
davanti a Dio ed alla Sua Chiesa, di Angelo
Giuseppe Roncalli.
Note
1) STJEPAN SCHMIDT. Agostino Bea. Il Cardinale
dell’unità. Città Nuova Editrice, Roma 1987, pag. 313. A
pagina 327 l’episodio viene così riferito, come raccontato
da Padre Duncker OP: «...venne pronunciato il nome
di Bea. Il Papa chiese: “Uno di voi si chiama Bea?”. “Si,
io, Santo Padre”, rispose p. Bea. “Ma come”, replicò il
Papa, “ci sono dunque due Bea a Roma?”. “No, che io
sappia - rispose il Padre - ; da tanti anni mi trovo a Roma,
ma non ho mai sentito parlare di un altro Bea”.
“Allora - esclamò il Papa - è lei dunque quel Bea, è lei
quel Bea!”. È chiaro che fino al momento dell’udienza,
il papa non conosceva ancora il p. Bea».
2) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 312.
3) Che Mons. Roncalli non gradisse la nuova versione
dei Salmi elaborata dall’Istituto Biblico diretto da Padre
Bea e promulgata da Pio XII, lo dimostra il fatto che,
divenuto Giovanni XXIII, la buttò a mare e reintrodusse
il testo di San Gerolamo. A questo proposito racconta
Padre Colosio O.P.: «Nel luglio del 1950 fui invitato a
pranzo a Parigi dal Nunzio Roncalli, il quale per ben tre
ore consecutive mi affascinò con una amabilissima ed interessantissima
conversazione che mi entusiasmò moltissimo;
entusiasmo poi in parte sbollito quando seppi che
più o meno le medesime cose le raccontava a tutti. In tali
circostanze il Nunzio ebbe dure parole di rimprovero per
i Domenicani francesi che in una loro pubblicazione avevano
acerbamente criticato il latino artefatto, libresco,
bastardo, né classico né cristiano, con cui l’Istituto Biblico
aveva tradotto il Salterio per ordine di Pio XII. “Non dovevano
farlo per non recare dispiacere al Papa che teneva
tanto a quella versione...”. Io debolmente mi permisi
di dire che avevano fatto benissimo; giacché in questioni
filologiche il piacere o dispiacere del Papa non c’entra.
Ma anche il Nunzio in fondo la pensava come i Domenicani;
tanto è vero che fatto Papa dette ordine di riprendere
il vecchio Salterio, correggendolo solo nei passi meno
felici e meno corrispondenti al testo ebraico. A tale proposito,
ecco la testimonianza esplicita di Mons. Marcel
Lefebvre nel suo libro Un Vescovo parla (Rusconi, Ed.
Milano 1974, pag. 170): “Giovanni XXIII... non amava il
nuovo Salterio. Lo disse apertamente alla Commissione
Centrale prima del Concilio. Lo disse a noi presenti: - Oh,
io non sono favorevole a questo nuovo Salterio -”. Ma se
fosse stato meno diplomatico, avrebbo dovuto dirlo prima
a Pio XII stesso. Da molti indizi mi pare che la sua
obbedienza ai superiori sia stata troppo remissiva. Così,
certo, non contrastandoli, forse anche quando sarebbe
stato suo dovere farlo, godeva di quella famosa pax interiore
ed esteriore che confina in parte col quieto vivere».
Insomma, quello del nuovo Salterio fu un caso in cui
Roncalli, secondo padre Colosio, applicò il suo sconcertante
motto: “mi piego, ma non mi spezzo”! (Cfr. PADRE
INNOCENZO COLOSIO O.P., Discussioni sulla “bontà” del
Papa Giovanni XXIII, in Rassegna di Ascetica e Mistica,
Agosto-Settembre 1975, anno XXVI, n. 3, pagg. 244-
245). Vi è tuttavia un’altra versione, quella del segretario
e biografo del cardinale Bea, Stjepan Schmidt S.J., secondo
il quale “Giovanni XXIII non vuole ritornare all”antico
Salterio” che, anzi, “aveva confermato (...) l’incarico
dato all’Istituto (Biblico) da Pio XII” e lo aveva esteso ad
“una nuova traduzione latina delle letture bibliche
dell’Antico Testamento per il Breviario”. Padre Schmidt
si avvale, per sostenere questa tesi, della corrispondenza
di Bea del 1959 (cf. op. cit., pag. 312 e nota 22). Resta
però allora da spiegare come mai, di fatto, Giovanni
XXIII reintrodusse il vecchio Salterio.
4) Sulle opinioni di Bea a proposito del Concilio
appena convocato, si veda Padre Schmidt (op. cit., pagg.
313-317). Per Bea si sarebbe dovuto risolvere il “problema”
delle relazioni tra Stato e Chiesa (libertà religiosa?),
dare un maggior ruolo all’episcopato (collegialità?),
favorire la causa dell’unione (ecumenismo). A
quell’epoca, però, egli era ancora molto prudente sulla
realizzazione delle sue speranze.
14
5) Cfr. S. SCHMIDT, op. cit., pagg. 309-318.
6) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 322
7) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 320.
8) Come fa notare lo SCHMIDT (op. cit., pag. 333) il
cardinal Bea sarà responsabile di una “impresa veramente
storica”: la “restituzione” delle reliquie di san
Saba, custodite a Venezia, alla “Chiesa Ortodossa” di
Gerusalemme, cioè ad una società di eretici e scismatici!
Si tratta pertanto di un atto sacrilego ed offensivo per
san Saba, ideato già nel 1962 (sotto Giovanni XXIII,
dunque) ed attuato tra il marzo e l’ottobre del 1965 dal
Segretariato per l’unità dei cristiani, fondato da Giovanni
XXIII e diretto da Bea. Il 20 ottobre, a Venezia, le
reliquie furono traslate nella chiesa “ortodossa” di san
Giorgio, e da lì partirono il 25 ottobre per essere collocate
a Gerusalemme il 26. Il dono servì anche, “provvidenzialmente”,
a far meglio digerire agli orientali, cattolici
ed “ortodossi”, la dichiarazione conciliare sugli
ebrei, Nostra Aetate, da loro fieramente avversata, che
venne approvata proprio quel 28 ottobre (cfr. AGOSTINO
BEA, L’Ecumenismo nel Concilio, Bompiani ed., Milano
1968, pagg. 220-223 e nota 6, pag. 223).
9) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 329.
10) Lettera a Bea del 1959; cf. S. SCHMIDT, op. cit.,
pag. 327.
11) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 336.
12) PETER HEBBLETHWAITE. Giovanni XXIII. Il Papa
del Concilio. Rusconi ed., Milano 1989, pag. 529.
13) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 331. Le preoccupazioni
del Congresso Mondiale Ebraico per la prosperità della
Chiesa Cattolica sono davvero commoventi...!
14) Sidic (Service international de documentation
judéo-chrétienne) Via Garibaldi, 28. Roma. Numero
speciale. 1969. L’architecte de Nostra Aetate, pag. 7.
15) Cfr. Sodalitium, n. 37, pag. 6.
16) Cfr. Sodalitium, n. 37, pag. 7.
17) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 332. Sul cardinal Bea riposavano
altresì le speranze dei sostenitori del “Movimento
di Schönstatt” e dei fautori “del rinnovamento e della
riforma liturgica” (Cfr. S. SCHMIDT, op. cit., pag. 331).
18) Cfr. Sodalitium, n.34, pagg. 7-9.
19) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 339, nota 21.
20) Per tutto l’episodio, si veda S. SCHMIDT op. cit.,
pagg. 338-339.
21) P. HEBBLETHWAITE, op. cit., pag. 529.
22) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 342.
23) P. HEBBLETHWAITE, op. cit., pag. 525.
24) Lo zelo ecumenista tradì, in quell’occasione, il futuro
cardinale Willebrands ed il suo collaboratore, p. Cristhophe
Dumont, O.P. Presenti a Rodi come “giornalisti”
(la Chiesa cattolica vietava loro di partecipare a quelle
riunioni ecumeniche in maniera ufficiale), fecero delle
avances... ecumeniche a dei teologi “ortodossi”. Colti sul
fatto, furono accusati di proselitismo, ed una riunione cattolico-
ortodossa che avrebbe dovuto tenersi a Venezia fu
soppressa per ripicca. I nostri eroi addebitarono il fatto
non allo spirito anticattolico del Consiglio Ecumenico
delle Chiese , ma al fatto che essi agivano a titolo personale,
senza appoggi e coperture nella Chiesa. Da lì, il desiderio
della creazione di una Commissione cattolica che consacrasse
ufficialmente l’ecumenismo e li nominasse plenipotenziari
cattolici nelle riunioni pancristiane.
25) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 347.
26) Sull’Istituto J.A. Möhler, cfr. Sodalitium, n. 37,
pag. 7. L’organizzazione ecumenista era stata creata nel
1952 da Mons. Jaeger su consiglio di Bea.
27) « “La questione di una Commissione per il movimento
ecumenico mi è stata posta da varie parti. La
cosa migliore sarà probabilmente quella di affrontarle
in connessione con le commissioni teologiche (!) conciliari,
ma queste non sono state ancora formate. Approfitterò
di una buona prossima occasione per parlarnre
anche al Santo Padre. Non sarebbe utile che proprio
l’Istituto Möhler, tanto competente in materia, ne facesse
una formale istanza, motivandola esplicitamente con
l’importanza della cosa?”. E aggiunge: ”Se me ne farà
avere il progetto, ben volentieri lo esaminerò e, se occorre,
lo completerò... In seguito, potrà inviare a me
l’originale dell’istanza. Vi aggiungerò il mio parere e la
inoltrerò a chi di dovere”» (lettera di Bea a Stakemeier,
1° gennaio 1960, in SCHMIDT, op. cit., pag. 343).
28) “Lei, certamente, da tempo aspetta di riavere la
sua istanza riguardante l’istituzione qui a Roma di una
Commissio Pontificia de re oecumenica (così io la chiamerei).
Ho esaminato a fondo il progetto... e ho proposto
diversi cambiamenti, aggiunte e omissioni. Nel frattempo,
ne ho parlato anche con Mons. Höfer, che vi è
interessato quanto lo sono io... Naturalmente, l’istanza
dev’essere indirizzata al Santo Padre stesso, cui la farò
pervenire insieme col mio parere. Il Santo Padre sa che
mi occupo della questione ecumenica e ne è molto contento”
(lettera di Bea a Stakemeier, del 20 gennaio
1960, in SCHMIDT, op. cit., pag. 343).
29) P. HEBBLETHWAITE, op. cit., pag. 533.
30) Abbiamo visto che Bea progettava di chiamarla
“commissione pro motione oecumenica” il 30 novembre
1959, e “Pontificia Commissione per l’ecumenismo” il 20
gennaio 1960. Adesso (28 febbraio) il titolo diventa “Pontificia
Commissione per promuovere l’unità dei cristiani”.
Giovanni XXIII la trasformerà in un “Segretariato”.
31) “Con il battesimo, l’uomo... diventa nel Corpo
Mistico, a titolo generale di cristiano, membro di Cristo
Sacerdote”.
32) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 343.
33) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 345 e nota 41.
34) S. SCHMIDT, op. cit., pagg. 345-346, e nota 43 a
pag. 346. Per quanto riguarda il cardinal Tardini, è tuttavia
probabile che la sua approvazione del progetto di
Bea e di Giovanni XXIII fosse più esteriore che interiore.
“Il 16 marzo”, ovvero solo quattro giorni dopo essere
stato consultato in merito, dichiarò alla stampa:
“Quando uno capisce di non poter più essere utile, se
ne va”. Una stanchezza, quella di Tardini, non solo fisica,
come commenta GIANCARLO ZIZOLA, in: Giovanni
XXIII. La fede e la politica, Laterza, Roma-Bari, 1988,
pag. 125. Tardini morì il 30 luglio 1961.
35) P. HEBBLETHWAITE, op. cit., pag. 529.
36) S. SCHMIDT, op. cit., pagg. 346-347.
37) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 348. Padre STRANSKI,
in un articolo pubblicato sul numero speciale del Sidic
già citato, afferma la stessa cosa: “Nel maggio, Giovanni
XXIII informò il cardinale che sarebbe preferibile chiamare
il nuovo organismo segretariato piuttosto che
commissione. La decisione non era fondata sull’importanza
rispettiva delle due organizzazioni. Ma poichè il
segretariato - pensava - si sarebbe trovato in un campo
totalmente nuovo e sconosciuto, e pertanto esposto alla
critica, era importante che fosse rimasto indipendente
dalle procedure tradizionali della Curia romana. Queste
non gli sarebbero state di aiuto, e avrebbero potuto essere,
al contrario, un impaccio alle proprie attività. È
proprio questa libertà d’azione che lasciava la porta
aperta al Segretariato per occuparsi dei rapporti giudeo-
cattolici al Concilio. Giovanni XXIII era persuaso
che il colto biblista era l’uomo più competente per
prendere in mano la questione, ed il suo Segretariato il
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solo organismo preparatorio del Concilio che poteva
godere di una certa libertà di manovra” (articolo Deux
pionniers. Le Pape Jean XXIII et le cardinal Bea, le Secrétariat
et les juifs, op. cit., pag. 3). Padre Stransky è
certamente la persona giusta per occuparsi dei rapporti
giudeo-cristiani, in quanto sacerdote da un lato, ed
ebreo dall’altra (cf. SAMUELE SCHAERF. I cognomi degli
ebrei d’Italia, Ed. Israel, Firenze, 1925, pag. 28).
38) Ricordo al lettore che il Sinodo Romano fu annunciato
da Giovanni XXIII assieme al Concilio Vaticano
II e alla revisione del Codice di Diritto Canonico. Esso
ebbe luogo prima del Concilio e ne doveva essere una
prova generale. I suoi documenti, di per sé validi per la
sola diocesi di Roma, considerati dallo stesso Giovanni
XXIII (allocuzione del 29 giugno 1960) “una prefigurazione
e una realizzazione anticipata” del Concilio, furono
promulgati il 25, 26 e 27 gennaio 1960. “In tutti gli ordini
della vita ecclesiale (...) il Sinodo proponeva una vigorosa
restaurazione” - scrive Romano Amerio - per cui
“ (...) non vi è chi non veda che una tale massiccia reintegrazione
della disciplina antica voluta dal Sinodo fu
quasi in ogni articolo contraddetta e smentita dal Concilio.
E così, il Sinodo Romano, che doveva essere prefigurazione
e norma del Concilio, precipitò in pochi anni
nell’Erebo dell’oblìo ed è in verità tamquam non fuerit.
Per dare un saggio di tale nullificazione, avendo io ricercato,
in Curie e archivi diocesani, i testi del Sinodo Romano
non ve li trovai e dovetti estrarli da pubbliche biblioteche
civili”. (Per l’esposizione ed il commento del
Sinodo Romano si veda, per l’appunto, l’opera di ROMANO
AMERIO, Iota Unum, Ricciardi editore, Milano-Napoli,
1985, § 31, pagg.48-51). Secondo Amerio, il Sinodo
è pertanto un esempio “dell’esito paradosso del Concilio
rispetto alla sua preparazione”, di come cioè il Concilio
tradì e snaturò le aspettative di chi lo aveva preparato.
Questa interpretazione, certamente valida per le aspettative
della Curia romana, è probabilmente da correggere
per quelle di Giovanni XXIII che, per lo meno, non
sono lineari. E lo stesso Sinodo Romano I è poi così univocamente
restauratore, se il cardinal Bea vi trova il fondamento
della sua teologia ecumenica? A volte una sola
goccia di veleno rovina il miglior manicaretto...
39) S. SCHMIDT, op. cit., pagg. 347-348. Naturalmente,
del tutto abusivamente Bea si appoggia sul Codice di
Diritto Canonico e su Pio XII. Questi, nell’enciclica Mystici
Corporis smentisce l’interpretazione che Bea dà alla
Mediator Dei. Quanto al Codice (del 1917) Bea amputa
il canone 87 della sua ultima parte: “...a meno che, per
quel che riguarda i diritti, vi sia un ostacolo che impedisca
il vincolo della comunione ecclesiatica, o una censura
data dalla Chiesa”! Agli eretici ed agli scomunicati è
tolto ogni diritto: restano solo i doveri. Come, ad esempio,
il disertore è considerato espulso dall’esercito, ma
pur sempre punibile dalle autorità militari (l’eretico non
è membro ma è pur sempre suddito della Chiesa).
40) La “teologia del battesimo” ha avuto una tale
influenza che non solo è diventata dottrina conciliare,
ma è stata sostenuta persino da alcuni di quei cattolici
che si oppongono al Vaticano II. Io stesso ho ascoltato
con le mie orecchie un noto esponente “sedevacantista”,
oggi deceduto, appoggiarsi abusivamente, come il cardinal
Bea, sul canone 87 del Codice di Diritto Canonico
per sostenere che gli “Ortodossi” fanno anch’essi parte
del Corpo Mistico di Cristo e, quindi, della Chiesa.
41) Cf.: S. Cipriano, ep. 73 ad Iubaianum, DS. 575
(XVI Conc. di Toledo), DS 792 (Innocenzo III, abiura
imposta ai Valdesi), DS. 802 (Concilio Lateranense IV),
DS. 870 (Bonifacio VIII), DS. 1191 (Concilio di Costanza),
1351 (Concilio di Firenze), DS. 2730 s. (Gregorio
XVI), DS. 2865, 2867, 2917, 2998 (Pio IX), 3304 (Leone
XIII), 3821 s. (Pio XII, Mystici Corporis), DS. 3866 s. (S.
Uffizio, al vescovo di Boston).
42) AAS, 35 (1943), 202 s.; Denz. 2286, Denz.-Sch. 3802.
43) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 434
44) S. Schmidt, op. cit., pag. 436.
45) L.c.; Baumann «scrive di avergli continuamente
suggerito: “Non rivolgetevi a noi come a pagani o ebrei
o musulmani, ma come a persone battezzate nel nome
del Dio Trino, cioè tenendo conto del battesimo. (...) Il
battezzato è persona nella Chiesa. Quello che manca a
noi non cattolici dev’essere chiarito nel quadro della già
esistente comunione battesimale, sotto l’autorità della
Parola di Dio”.
46) Cf. P. HEBBLETHWAITE, op. cit., pag. 539.
47) Cit. da S. SCHMIDT, op. cit., pagg. 435-436. Bea
espresse pubblicamente questo pensiero a partirà dal
novembre 1960, a Ferrara, per poi svilupparlo e ripeterlo
continuamente durante gli anni successivi.
48) Le citazioni del Vaticano II sono riportate nella
traduzione di Rodomonte Galligani, pubblicata nell’opera
Decisioni dei Concili Ecumenici a cura di GIUSEPPE
ALBERIGO, UTET, Torino, 1978, pagg. 845-846 e 928-929.
Per una critica accurata (inclusa una censura teologica)
di questi errori, cf. AA.VV., Lettre à quelques évêques...,
Société Saint-Thomas-d’Aquin, Paris, 1983, pagg. 23-40 e
70/3-70/4 (III Addendum); vedi anche (sebbene meno
preciso): R. AMERIO, op. cit., pagg. 465-466.
49) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 349.
50) Cf. Annuario Pontificio per l’anno 1961, Città
del Vaticano, pagg. 1105-1127.
51) Essa contava 90 Membri (dei quali 49 cardinali, 5
patriarchi, 32 vescovi e 4 superiori religiosi), e 26 Consiglieri.
Segretario Generale era Mons. Pericle Felici. Tra i
Membri notiamo i futuri avversari, cardinali Ottaviani e
Bea e, a titolo di curiosità, Mons. Lefebvre e Mons. Ngô-
Dinh-Thûc, che in seguito si opporranno al Vaticano II.
52) P. HEBBLETHWAITE, op. cit., pagg. 522-523.
53) Per la verità, Bugnini era già segretario della
Commissione per la riforma liturgica istituita da Pio XII
il 28 maggio 1948, e dirigerà tutte le riforme sotto Pio
XII, Giovanni XXIII e Paolo VI, dal 1948 al 1975! Cf.
ANNIBALE BUGNINI, La riforma liturgica (1948-1975),
CLV, Ed. Liturgiche, Roma, 1983. Per un giudizio sulle
riforme liturgiche precedenti il Vaticano II, sotto Pio
XII e Giovanni XXIII, cf. Sodalitium, n. 11, pagg. 8-16.
54) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 351. Secondo l’Annuario
Pontificio del 1961 (pagg. 1226-1227) il Segretariato
contava, sotto la presidenza di Bea, 11 membri (6 vescovi:
Jaeger, Martin, Heenan, Charrière, De Smedt e Nierman,
e 5 sacerdoti: Höfer, Maccarrone, Boyer, Corr e
Cunningham) e 15 consultori (Volk, Davis, Vodopivec,
Bellini, Feiner, Stakemeier, Thijssen, P. Dumont da Chevetogne,
C. Dumont, Hamer - futuro cardinale -, Baum,
Bévenot, Weigel, Tavard e Hanahoe). Ad aiutare il futuro
cardinal Willebrands al segretariato del Segretariato, il
“professore di protestantesimo di Giovanni XXIII”, Arrighi,
e il p. Stranski, come p. Baum di origine ebraica.
55) WILTON WYNN, Custodi del Regno, Frassinelli,
Milano, 1989, pagg. 83-84.
56) RALPH M. WILTGEN S.V.D., Le Rhin se jette dans le
Tibre. Le Concile inconnu, Editions du Cèdre, Paris 1976,
pag. 22. L’edizione originale è del 1967 (Hawthorn Book
Inc., New York) con imprimatur del locale arcivescovo.
57) R. AMERIO, op. cit., pagg. 44-47.
58) MONS. MARCEL LEFEBVRE, Un Vescovo parla,
Rusconi, Milano, 1975, pag.102.
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59) La dottrina cattolica al riguardo è stata mirabilmente
riproposta dal CARD. ALFONS STICKLER con l’articolo:
El celibato eclésiastico, su historia y sus fundamentos
teològicos pubblicato sulla rivista Scripta Theologica
della Facoltà di Teologia della Università di Navarra
(gennaio-aprile 1994, vol. XXVI/1, pagg. 13-78). Ma come
conciliare la tradizione apostolica difesa dall’autore
col permesso dato attualmente di ordinare diaconi delle
persone sposate che pure non si separano dalla consorte?
60) Secondo lo schema di Bea, le religioni non cattoliche
devono godere, in ogni caso, della libertà. Secondo
quello di Ottaviani (e secondo la dottrina cattolica)
esse non hanno diritto alla libertà, ma possono, in alcune
circostanze, essere tollerate dallo Stato quando non si
può fare altrimenti.
61) MONS. MARCEL LEFEBVRE, Il colpo da maestro
di Satana, Il Falco, Milano 1978, pagg. 12-15.