sabato 8 aprile 2017

Cosa è lo Yoga?

 

Cosa è lo Yoga?

Lo Yoga è un complesso sistema filosofico-ascetico fiorito in India tra il VII e il V secolo a.C. I sistemi filosofici connessi allo yoga non basandosi sui testi sacri dei Veda ma su testi successivi, variamente articolati da scuole di pensiero differenti, non sono considerati ortodossi dai brahmini (= sacerdoti dell'Induismo), pertanto lo yoga è una via di salvezza che può essere raggiunta senza l'intervento rituale dei sacerdoti e mediante la sola autodisciplina personale. Peraltro l'induismo afferma che Buddha incarna l'illusione e l'errore perchè allontanò dalle regole dei Veda inducendo molti a non tener conto delle gerarchie sociali e delle caste. Comunque la speculazione indiana ha una preoccupazione esclusivamente soteriologica e vuole svincolarsi dalle passioni che incatenano l'uomo al divenire, al samsara, e conseguire la liberazione (moksa), sia che per "liberazione" si intenda con le scuole "ortodosse", il ricongiungimento dell'anima individuale (atman) con la suprema realtà (Brahman), sia che per essa si intenda invece, col Buddhismo, il conseguimento del nirvana cioè dell'estinzione; le quattro "nobili verità" del Buddha sono: 1)tutto è dolore, 2)estinguire la brama o "sete", 3)sopressione della "sete" con il distacco, 4)sentiero di salvezza (retta visione/risoluzione/parola/azione/vita/sforzo/consapevolezza/concentrazione). Nei sei darshana (lett. punto di vista) più importanti, redatti dal 550 a.C. al 1100 d.C., che interpretano variamente i Veda troviamo lo Yoga e Samkya.
Afferma il più grande antropologo del secolo scorso, Mircea Eliade: "Per il Buddha, come d'altronde per tutto il pensiero indù, l'esistenza umana era votata alla sofferenza per il fatto stesso che si svolgeva nel Tempo... Semplificando, si può dire che la soffernza è fondata e indefinitamente prolungata nel mondo dal karma, dunque dalla temporalità: proprio la legge del karma impone le innumerevoli trasmigrazioni, il ritorno eterno della esistenza e quindi della sofferenza. Liberarsi dalla legge karmica, strappare il velo della maya, equivale alla guarigione... Le filosofie, le tecniche ascetiche e contemplative, le mistiche indù perseguono tutte lo stesso scopo: guarire l'uomo dal dolore dell'esistenza nel Tempo. Proprio 'bruciando' fin l'ultimo germe di una vita futura si abolisce definitivamente il ciclo karmico e ci si libera del Tempo... La 'guarigione' radicale della sofferenza esistenziale si ottiene ripercorrendo a ritroso il cammino delle vite precedenti fino all'illud tempus, e questo implica l'abolizione del Tempo profano... fino a ricongiungersi al Non-Tempo o eternità.... Il Buddha come la maggior parte degli yogi, non si interessa delle vite precedenti ma si sforza di neutralizzare le conseguenze che queste cause prime hanno generato per ciascun individuo in particolare. L'importante è spezzare il ciclo delle trasmigrazioni" (Mircea Eliade, Miti sogni e misteri, ed Lindau, Torino 2007, pp.48-51).
Nei primi secoli dell'era cristiana, il termine yoga assunse un significato più ristretto e preciso e diventò la designazione di una delle sei scuole filosofiche ortodosse, le quali non sono sistemi omogenei ma un insieme di riflessioni, di pratiche ascetiche e di considerazioni morali. Il redattore dei testi più noti e trasmessi da asceta ad asceta mediante l'insegnamento diretto fu Patañjali la cui epoca di nascita è assai dibattuta: oscilla infatti, dal II secolo a.C. ai primi secoli dell'era cristiana. Lo yoga di Patañjali presenta nello Yogasutra la dottrina samkya, unitamente alla nozione teistica di Ishvara, ambedue intrecciate con la dottrina della Shakti o Devi o Grande Dea del tantrismo. Ishvara (lett. Signore) in Patanjali ha come unica funzione il concedere un certo favore allo yogin che scelga di utlizzarlo come sussidio meditativo. Successivamente le correnti devozionali venute a contatto con il Vedanta hanno attribuito a Ishvara la regolazione del processo cosmico e della retribuzione karmica.
La dottrina samkya afferma che la redenzione avviene quando il purusha (essenza spirituale dell'uomo) prende coscienza che egli nulla fa e sente e si separa definitivamente dalla prakti (natura) per ritornare alla sua eterna e immutabile passività. La dottrina Ishvara, parla di una monade spirituale suprema da cui procedono per polarizzazione interna sia purusha e prakrti. Lo yoga descritto nello Yogasutra dal redattore Patanjali è detto Yoga classico. Lo Yogasutra si divide in quattro parti ciascuna indirizzata a una categoria di yogin: il provetto (yogarudha), il proficiente (yunjana) e il principiante (aruruksu). I primi due intraprenderebbero lo yoga partendo da stadi già elevati e pertanto nelle vite precedenti avrebbero già progredito. Mentre al yogarudha basta il primo libro in cui sono descritte le acquisizioni gnostiche enstatiche (samadhi), al yunjana e all'aruruksu sono dedicati il secondo e il terzo libro in cui è sviscerato l'intero corso yogico ottopartito. Lo scopo è l'enstasi, non l'estasi mistica, cioè il chiudersi alla trascendenza [atteggiamento anticristiano] e il ripiegamento su di sè o il Sè supremo (per lo yoga sono la stessa cosa!) perchè la natura o prakrti o shakti o kundalini riassorba il "complesso mentale" determinando l'estinzione dell'io e l'essenza spirituale dell'uomo o purusha o Shiva risplenda nella sua liberazione-autodivinizzazione. La differenza tra enstasi ed estasi è ben rappresentata dalla morte, rispettivamente, del Buddha e di Cristo; Buddha è morto con le gambe nella posizione del loto guardandosi l'ombelico completamente estraniato e ripiegato su di sè; Cristo è morto crocefisso, sospeso tra cielo e terra, con lo sguardo completmante rivolto al Padre, portando a Dio nella sua carne sofferente per amore tutto il dolore dell'umanità.
La prakrti o natura o Shakti a sua volta si può manifestare in tre diversi modi di essere o "potenze" detti "guna" (lett. "qualità") che sarebbero "sostanze onnipervadenti estremamente sottili" che a seconda di come sono presenti implicherebbero le differenze tra gli esseri e degli aspetti del mondo: 1)sattva (natura stabile o shivaica dell'essere: leggerezza, luminosità, intelligenza); 2)rajas (natura in espansione: passione, energia); 3)tamas (natura statica o esaurita: tenebre, inerzia). Se rajas è improntato da sattva ci sarebbe una forza espansiva si sviluppo dell'essere ma se rajas è improntato dal tamas ci sarebbe un processo di dissoluzione e caduta dell'essere. Vi sarebbero uomini tamasici, rajasici e sattvici, ossia individualità in cui predominano, rispetivamente, la qualità tamas, rajas o sattva. Solo agli uomini rajasici e sattvici sarebbe possibile proporre lo Yoga o i sadhana. Addirittura i tamasici vengono definiti dai tantrici pushu, uomini in cui prevale l'istinto animalesco o sono presi da bassi interessi, per cui "nell'età Kalì-yuga, ossia nell'età ultima, esistono esclusivamente esseri aventi natura da pushu" (Julius Evola, Lo Yoga della potenza, ed Mediterranee, Roma 2006, pp.73.74). I tantrici definiscono gli indù che si limitano alla pratica devozionale-religiosa, con disprezzo, dei pushu e attribuiscono a loro stessi il titolo di vira, cioè dell'eroe o uomo virile, determinato essenzialmente dal rajas-guna a cui solo è riservato il rituale segreto (pancatattva), l'uso del sesso con le esperienze orgiastiche, della crudeltà e di bevande inebrianti. Il vira o siddha o kaula è colui che si identifica in modo completo con la Shakti e per il quale non esiste più proibizione alcuna perchè il karma non ha presa e cessa di avere qualsiasi senso qualsiasi distinzione, anche tra bene e male potendo unire tantricamente lo yoga (disciplina) al bhoga (fruimento delle passioni) restando spiritualmente invulnerabile (Cfr. Julius Evola, Lo Yoga della potenza, ed Mediterranee, Roma 2006, p.75). Lo scopo dei tantrici è riassunto dal Mahanirvana-tantra: "Tu o Devi (Shakti) sei il mio vero Io. Perchè fra me e te non vi è alcuna differenza" (Cfr. Julius Evola, Lo Yoga della potenza, ed Mediterranee, Roma 2006, p.124). Il pericolo estremo di questa strada viene enunciato da "maestri" come Anandavajra: "Con gli stessi atti che fanno bruciare alcuni uomini negli inferi per interi eoni lo yogi ottiene la liberazione". Cosa succede se il tantrico non riesce a controllare la Shakti o Ki o Kundalini o Prana? Afferma il tantrico Julius Evola: "Se la shakti prende il sopravvento potrebbero verificarsi forme di ossessione tali da far retrocedere la persona in questione nella condizione di essere 'demonico', strumento completo della forza evocata che essa si era illusa di dominare" (Julius Evola, Lo Yoga della potenza, ed Mediterranee, Roma 2006, p.85). Ai vira sono da riferire: 1)le esperienze connesse al rituale segreto; 2)i metodi di rottura decondizionalizzante; 3)l'uso magico ed evocatorio dei riti per percezione di forze sovrasensibili tramite i talismani magici chiamati mandala e yantra. Ma "questa visione magica simbolica del mondo è il presupposto non solo di tutto il rituale dei gradi tantrici intermedi ma anche di buona parte dello yoga in senso stretto e sovraordinato" (Julius Evola, Lo Yoga della potenza, ed Mediterranee, Roma 2006, p.86).
Dalla macedonia dei guna dipenderebbere come il principio shivaico assume la maschera dell'una o dell'altra forma del mondo manifestato. Quando l'equilibrio nei guna viene spezzato, in forza di una cieca tendenza [del fato], si metterebbe in moto il meccanismo della evoluzione (parinama) dalle forme più sottili a quelle più grosse o visibili. La prima modificazione che la natura patirebbe è la buddhi o citta la mente cosmica (mahat) o psiche individua facente parte ad una certa anima. Poi il mahat si trasforma originando il senso dell'io (ahamkara), poi dai guna gli elementi sottili (tanmatra) da cui i sensi materiali. Ma essendoci tra prakrti e purusa un "rapporto magnetico" (yogyata) viene identificata erroneamente l'attività mentale (buddhi) con l'attività dell'anima così verrebbe generato nuova avidya (ignoranza) e nuovo karma (lett. azione) immergendo ancora di più nel ciclo delle trasmigrazioni. Per liberarsi allora occorrerà con la tecnica dello yoga, risvegliando la Shakti o kundalini, nel realizzare il sostanziale distacco del "rapporto magnetico" tra anima e natura così bruciando il deposito karmicoimpedendo che gli effetti delle azioni maturino ulteriormente. Il meccanismo del karma è come un circuito chiuso e attraverso l'attività mentale (buddhi) nel pensiero, nel volere e nell'agire per una rigenerazione senza sosta; "la ruota delle funzioni e degli impulsi karmici si volge incessantemente" (Patanjali, Gli aforismi sullo Yoga (Yogasutra), ed Biblioteca Boringhieri, Torino 1978, p.41; I,5) facendosi carico delle rinascite, della durata delle vita, delle fruizioni piacevoli o dolorose, che si sperimentano nel corso dell'esistenza.
Vengono poi distinte due fasi successive: la enstasi conscia (samyama, conoscenza dell'essenza, identificazione e potere-siddhi sulla "dimensione sottile" di tutti gli oggetti di meditazione con il travalicamento della dimensione spazio-temporale fino a conoscere la differenza tra prakrti e purusha) e la enstasi inconscia (estinzione dell'Io o autodivinizzazione). Pertanto il principiante (aruruksu), per lo Yogasutra, dovrà imporsi in primo luogo una certa disciplina morale (yama) - cioè la non violenza, il dire la verità, il non rubare l'astinenza sessuale e la povertà - e in obblighi (niyama) - quali la purezza, il contentamento, l'ascesi, lo studio e la devozione - dovendo scegliere le "posizioni rituali" (asana) in modo da creare nel controllo del corpo un distacco tra mente e corpo per favorire l'ingresso nella dimensione sottile [o channeling? quale il confine?]. La descrizione della enstasi conscia di Patanjali è perlaltro molto simile a quella della medianità ad aura e alla medianità ad ectoplasma. Attraverso il controllo del respiro vitale o pranayama lo yogin procede nell'enstasi "oltre lo spazio e il tempo" nell'astrazione (pratyahara) fino a conseguire i siddhi o poteri che per lo Yogasutra sono solo indici di acquisita forza interiore per procedere verso lo scopo che è la samadhi ma che non devono essere usati pena il diventare uno yogin fallito o mago.
"Grazie all'intuizione è possibile conoscere cose sottili o nascoste o remote o passare o future... tutti questi sensi sopranormali con lo yoga sorgono incessantemente [come mai?]. Questi sono impedimenti rispetto all'enstasi... impedimento alla mente raccolta in enstasi" (Patanjali, Gli aforismi sullo Yoga (Yogasutra), ed Biblioteca Boringhieri, Torino 1978, p.164; III,36.37). Lo yoga agirebbe sul "corpo sottile o occulto" che sarebbe fatto di "prana" mettendolo in contatto con la shakti, energia sessuale, tramite il pranayama e gli asana dello Hata-Yoga: "Il prana, la forza vitale di cui, secondo l'insegnamento tradizionale, è fatto il corpo sottile in tale suo aspetto, è anche qualcosa di sperimentabile nello stato 'sottile' [medianico] della coscienza del proprio corpo... il prana è legato al soffio vitale... il prana ha segno 'solare' e corrisponde ad una funzione aspirante e attrattiva del prana cosmico, si lega al respiro come inspiro; apana ha un carattere terrestre e una relazione con la sessualità... Per la sua dinamicità il corpo pranico viene messo in una particolare relazione con la Shakti... Ad esso allude il simbolismo ermetico-alchemico occidentale quando parla della 'donna occulta' o 'donna filosofale'" (Julius Evola, Lo Yoga della potenza, ed Mediterranee, Roma 2006, pp.67.68). Comunque oltre allo yoga classico descritto da Patanjali nello Yogasutra esistono tantissimi tipi di yoga nei quali convergono pratiche magiche o tantiche, adorazione di divinità popolari e forma di yoga iniziatico. Pertanto lo yoga è una via autorealizzativa complessa e profondamente radicata nella cultura indiana che nella cultura occidentale è stata ridotta a mera tecnica, estrapolandola dal suo contesto vitale. Ma il testo sacrò indù Bhagavad Gita raccomanda di evitare i "guru per occidentali" perchè il sentiero dello Yoga è "pericoloso come il filo di un rasoio... Fra migliaia di uomini a stento ve n'è uno che lotti per raggiungere la perfezione; e tra migliaia di fedeli che lottano, a stento uno solo conosce la Mia Essenza"(Bh. Gi. VII, 3). Anche l'altropologo Julius Evola è sulla stessa linea: "Pochissimi sono qualificati per lo yoga e fra costoro ancor più piccolo è il numero di coloro che riescono in esso... può riuscire davvero nello Yoga chi abbia qualità privilegiate creati da sforzi sulla stessa direzione compiuti in vite precedenti" (Julius Evola, Lo Yoga della potenza, ed Mediterranee, Roma 2006, p.91).
In sintesi cosa possiamo dire dello Yoga?
"Lo yoga è il metodo attraverso il quale si ottiene il dominio di tutte le forze spirituali e le si guida nella direzione desiderata; la meta è il raggiungimento della pace interiore, della conoscenza suprema e, da ultimo, della liberazione dai legami del mondo e della materia che sono "maya" cioè illusione e seduzione. Infatti per gli induisti e i buddisti l'uomo non è responsabile del male e della sofferenza ma sono parte integrante della realtà per cui il mondo va rifiutato in blocco o, nella migliore dell ipotesi, svuotato di ogni consistenza metafisica...Patañjali definisce lo Yoga come la "soppressione degli stati di coscienza (= "cittavrtti")". Gli "stati di coscienza" sono illimitati ma inquadrabili in tre categorie: 1)gli errori e le illusioni; 2)le esperienze psicologiche normali di colui che non pratica yoga; 3)le esperienze parapsicologiche provocate dallo yoga e accessibili ai soli iniziati. Per Patañjali le prime due categorie d'esperienza vanno abolite e sostituite con una esperienza "enstatica" sovrasensoriale ed extrarazionale. Diversi sono i modi per raggiungere la salvezza proposti dall'induismo e dal buddismo per uscire dalla "maya" e entrare nell'Assoluto, poichè questi dipendono dalla visione del mondo propria di ogni scuola e corrente. Mentre il cammino di salvezza e di liberazione ("moksa") per l'induismo dipende principalmente dallo smantellamento della "maya" mediante la regressione psicologica del nostro io umano nel Brahaman, per il buddismo, comporta lo spegnimento della sete di qualsiasi consistenza e desiderio. Le pratiche salvifiche yoga non si escludono comunque l'una con l'altra e sono spesso complementari: 1)Tantra yoga (via dei riti magici); 2)Yoga mârga (via degli esercizi fisici e spirituali); 3)Karma yoga (via delle opere); 4)Jnâna yoga (via della conoscenza); 5)Bhakti yoga (via della devozione). La salvezza non si raggiunge nell'arco di una sola vita, come del resto nella mistica plotiniana, ed è postulata la reincarnazione." (Enciclopedia delle Religioni, p.403.438-439, ed.Garzanti; F. Dermine, Mistici-veggenti e medium, Città del Vaticano 2002, pp.127.130-131).
Ispirandosi in qualche modo ai
Veda, testi fondamentali della tradizione indiana che possono essere collocati tra il 1800 e l'800 a.C., sono nati, oltre lo Yoga, molti sistemi gnostici, tra i quali i più importanti sono il Samkhya e il Vedanta. Il loro scopo è sradicare le cause di un cattivo karma e così venendo meno le cause del dolore l'individuo sarebbe sottratto al divenire e integrato in un piano metafisico. Sotto c'è la concezione di un determinismo cieco di causa-effetto (karma), assurdo non solo per noi cristiani ma anche per i laici che si riconoscono nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'uomo; ad esempio se una persona è malata secondo la concezione del Karma l'avrebbe meritato in questa o in una vita passata e aiutarlo significherebbe peggiorarne il karma anche di chi lo aiuta. Qui si spiega l'effetto dirompente della carità cristiana della Beata Teresa di Calcutta, che tra l'altro vietava alle sue suore di fare yoga, sulla falsa dottrina del karma. Anche per lo yogin, vale questa dottrina dell'indifferenza verso l'umanità della persona ritenendo che le sue azioni (karma) possono essere bianche-meritorie (sukla) o nere-cattive (krsna) o bianco-nere ma, onde sottrarsi agli effetti futuri che, buoni o cattivi che siano risultano sempre vincolanti, lo yogin deve rendere la sua attività "nè bianca nè nera", quanto a dire distaccata in tutto e per tutto riguardo ai frutti di qualsiasi azione. Questa impostazione pilatesca, molto pericolosa, che apparentemente afferma di "non voler costruire un superuomismo di tipo nietzschiano ma di voler bruciare la natura umana o Io individualistico per andare oltre" (Julius Evola, Lo Yoga della potenza, ed Mediterranee, Roma 2006, p.81) in realtà spalanca ulteriormente la strada, come vedremo, alla "Via della mano sinistra" o Tantrismo (lett. Tantra significa "libri" cioè "testi sacri") dove l'illusione di conseguire una "superiore libertà" con lo sviluppo dei poteri (siddhi) e della conoscenza (samadhi) sul "piano sottile", con qualunque mezzo, è lo scopo.
Mentre, ad esempio, il Samkhya è una gnosi esplicitamente atea che accetta con indifferenza le varie divinità indiane senza attribuirne alcuna funzione nell'ordine del sistema, lo Yoga è una gnosi implicitamente ateà che introduce al di sopra della folla di questi dèi, Isvara (il Signore) che però concederebbe allo yogin solo un vago favore o al massimo, nelle corrente devozionali dei Vedanta, il regolatore del processo cosmico e della retribuzione karmaica. Nello Yoga gli dèi indiani invidiano lo yogin e sovente lo tentano ad abbandonare la via dell'enstasi o instasi. "Sia in Patanjali, la grande autorità dello Yoga, sia nei Tantra si trova detto che gli dèi sono nemici dello yogi perchè come poteri volti al mantenimento dell'ordine naturale cercano di sbarrare la via a chi da esso vuole sciogliersi e vuole dominarlo" (Julius Evola, Lo Yoga della potenza, ed Mediterranee, Roma 2006, p.79). Questa è una visione molto simile a quella che ha il demonio nel racconto del libro della Genesi del capitolo III in cui satana suggerisce all'uomo la falsità che Dio sia geloso della sua divinità e invidioso della possibilità che l'uomo avrebbe di diventare divino con le sue sole capacità tecniche. In realtà Dio in Gesù Cristo ci regala mediante la sua Chiesa la sua divinità e, inoltre, l'uomo non è capace di autodivinizzarsi con alcuna tecnica o trucco magico; gli ospedali e l'ineluttabilità della morte sono lì a testimoniarlo.
Gli "dei" nell'oriente sono visti come esseri soprannaturali che fruiscono di gioie effimere superiori a quelle umane ma la cui massima ispirazione è reincarnarsi in uomini perchè solo in questo modo e con le opportune tecniche potranno raggiungere la definitiva emancipazione dal ciclo delle nascite e delle morti. Per questa ragione essi invidiano lo yogin e lo tentano di frequente:
Afferma Patanjali nella "Bibbia" dello Yoga, lo Yogasutra:
"Ci sono quattro tipi di yogi: il principiante, colui che ha raggiunto lo stadio del "miele", colui che ha raggiunto lo stadio della conoscenza e colui, infine, che ha trasceso tutto ciò che può essere realizzato. Nel primo di essi la luce (della conoscenza) ha appena cominciato ad operare; il secondo è nello stadio in cui la conoscenza si è fatta apportatrice della verità. Quanto al terzo stadio egli [lo yogin] è signore dei sensi e degli elementi; oltre a ciò, è uno che provvede a conservare quanto è stato già realizzato e che dispone dei mezzi per realizzare quanto non lo è stato. Il quarto, finalmente, colui che ha trasceso tutto il realizzabile, è uno il cui unico scopo è la dissoluzione della mente; la sapienza di costui si svolge per sette gradi successivi. Ora, allorchè un brammano o yogin abbia direttamente realizzato lo stadio detto del "miele" gli dèi sparsi per vari cieli, che hanno scorto la purezza del suo sattva, lo baldiscono con celesti tentazioni: 'Suvvia, dicono, siediti dunque e gioisci qui fra di noi, cui arridono fruizioni impareggiabili... Avrai vista e udito divini e corpo adamantino'... Sollecitato a questo modo [dagli dèi], rifletta lo yogin sui difetti inerenti all'attaccamento e formuli questo pensiero: '... Ora perchè mai pervenuto a questa luce ingenerare nuovo attaccamento agli oggetti dei sensi e dovrei farmi ancora una volta divorare dalle fiamme della trasmigrazione, nuovamente divampanti?" (Patanjali, Gli aforismi sullo Yoga (Yogasutra), ed Biblioteca Boringhieri, Torino 1978, pp.176.177; III,51).
Questa impostazione dello Yoga è tipica della pretesa gnostica in cui gli uomini non hanno uguale dignità ontologica e vengono divisi in «pneumatici, psichici e ilici» a seconda della capacità di «espandere» le proprie potenzialità recondite, inoltre nel dualismo gnostico sono visti come, farfalle-scintilla del divino che devono sbarazzarsi del bozzolo-corpo materiale. Mentre, all'opposto, nella visione cristiana tutti gli uomini sono immagine di Dio con uguale dignità ontologica, tutto l’uomo psiche-anima-corpo è «cosa molto buona», porta in sé l’impronta della vita trinitaria che lo rende capax dèi cioè capace di accogliere il dono della grazia, dono gratuito e per nulla «dovuto» alla natura umana. Anzi la vera dignità dell’uomo non sta agli occhi di Dio, nel «farsi grande», «espandendo» le proprie potenzialità recondite, ma piuttosto nel «farsi piccolo», accogliendo un dono di cui si sente indegno, specialmente a motivo della terribile esperienza del peccato per cui si è reso necessario il sacrificio di Cristo.


Qual è lo scopo dello Yoga?

Lo scopo dello Yoga, in breve, è tramite la FUSIONE con la divinità, ottenere il CONTROLLO ASSOLUTO di corpo-mente-sensi-cosmo, la
"Samadhi", "sottraendosi all'illusione (Maya) da noi chiamata 'Vita' e di evadere in se stesso verso una vera realtà interiore, nella quale si può trovare la lampada fulgida della coscienza trascendente... raggiungendo l'esperienza dell'autorigenerazione, fisicamente, mentalmente ed emotivamente... fino ad essere il Brahman [=DIO]" (John Mumford, Yoga psicosomatico, ed hermes, Roma 1980, pp.22.23.26).
"La samadhi è uno stato indescrivibile", dice un guru, "è un fenomeno supercosciente... in cui la coscienza normale perde la sua limitazione per estendersi in condizione di Coscienza Cosmica... in cui abbiamo l'unione (Yoga), la connesione e l'identificazione dello spirito individuale (Jivatman) con quello universale (Paramatman) così come una goccia di acqua si unisce, si fonde e si identifica con l'acqua di un vaso. E' la meta dello Yoga, Moksa o Mukti, la liberazione, chiamata Nirvana dai buddhisti" (Carlo Patrian, Yoga, Sperling & Kupfer editori, 1984 Azzate (VA), pp.37.39). Il termine yoga deriva dalla antica parola sanscrita yuj ("unire", "congiungere" o meglio "con-fondere") e connesso col latino iugum (= giogo), indica infatti quel complesso di tecniche che servono a unificare le varie potenze dell'anima col "Principio Supremo", l'unione-fusione dell'atman con il Brahman, cioè dell'individuo con l'essenza divina ma, secondo la filosofia panteistica e monistica orientale, yoga significa anche unificare o collegare i due poli dell'essere umano, i chakra (= "ruota") che si trovano il primo in alto sulla testa (sahasrara) e il secondo è situato dove si trovano gli organi genitali-ano (muladhara) che rappresenta il centro dell'energia creatrice detta kundalini, l'energia che dal polo inferiore dominato dagli istinti, sale fino al chakra superiore, centro della coscienza per realizzare "le nozze cosmiche" o il "battesimo del fuoco"; la kundalini (= significa "arrotolata"), rappresentata nella forma di un serpente arrotolato (chi è questo "serpente"?) e addormentato alla base della colonna vertebrale (muladhara) con lo yoga è risvegliata!
"Fin quando la kundalini dorme, il samsara continua, si vive nel mondo samsarico [mondo contingente in divenire]" (Julius Evola,Lo Yoga della potenza, ed Mediterranee, Roma 2006, p.169). E' una vera e propria iniziazione esoterico-occultistica incentrata sulla dottrina della corporeità sottile o occulta o eterea nella corrispondenza magica tra macrocosmo celste e microcosmo umano, tra gli dèi e gli uomini poiché esisterebbe all’interno del corpo umano una corrente energetica fondamentale, la kundalini, che sarebbe la medesima degli dèi e del cosmo (cfr. Julius Evola, Lo Yoga della potenza, ed Mediterranee, Roma 2006, p.165). Nella «teoria del corpo etereo» si sostiene la possibilità dell’uomo, mediante le «tecniche olistiche», tra cui lo Yoga, di «espandersi» progressivamente fuori di sé negli altri corpi, oltre lo spazio e il tempo e tramite le «entità» o «energie», per raggiungere progressivamente i corpi eterici o aure dove si nascondono poteri di autodivinizzazione sorprendenti. Dice il prof. Massìmo Introvigne: "L’uomo composto di sette corpi o parti, che ricevono per la verità nomi diversi nella letteratura teosofica, di volta in volta ispirati al Buddismo o all’Induismo e che sono e che sono (procedendo dalla parte più spirituale verso quella più materiale) i corpi chiamati in genere divino, monodico, spirituale, intuitivo, mentale, astrale e fisico. Ogni corpo corrisponde ad un piano di esistenza in cui si trovano anche altri esseri o realtà" (M. Introvigne, Le nuove religioni, 274).